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“Stiamo morendo”, il grido d’aiuto di un sacerdote iracheno
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“Stiamo morendo”, il grido d’aiuto di un sacerdote iracheno

Padre Douglas è stato sequestrato e torturato dall’ISIS e adesso avvisa l’Occidente: “Lo stato Islamico è qui, i vostri figli sono in pericolo”. Padre Douglas Bazi è stato testimone in prima persona degli orrori perpetrati dallo Stato Islamico in Iraq. Per nove giorni è stato sequestrato dal gruppo terrorista mussulmano e adesso grida perché il mondo non si dimentichi dei cristiani e perché protegga le minoranze nel paese mediorientale. Con l’occasione della Giornata di Preghiera per i Cristiani Perseguitati che si celebra oggi promossa da ”Aiuto alla Chiesa Bisognosa”, è’ venuto in Spagna per offrire la sua testimonianza ed ha lanciato un grido di aiuto: “Stiamo morendo”. Assicura di non essere preoccupato che l’Occidente si dimentichi dei cristiani perseguitati, “quello che mi preoccupa è l’indifferenza”. Questo sacerdote racconta la delusione dei cristiani iracheni di fronte all’assenza di reazione dell’Occidente che non è cosciente del pericolo che rappresenta lo Stato Islamico. “La prossima generazione dello Stato Islamico arriverà qui perché li proteggete con le vostre leggi. State accogliendo gente malvagia. Quello che mi terrorizza è che i vostri figli siano in pericolo. Avranno problemi, soffriranno per l’islam o saranno islam”, avvisa padre Douglas. Nove giorni incatenato e sottoposto a tutti i tipi di tortura dagli jihadisti. Non mi ha sorpreso essere sequestrato, quello che mi sorprende è essere ancora vivo”. In questo modo contundente si esprime il Parroco della chiesa di Sant’Elia in Erbil (Iraq) al quale venne sbarrato il passo da due macchine per sequestrarlo mentre andava a casa di amici dopo aver celebrato la messa. “Il mio primo pensiero è stato: questa è la mia fine, mi ammazzeranno” ricorda P.Douglas. Venne bendato e lo minacciarono di sparargli immediatamente se avesse visto i suoi sequestratori. Lo misero nel bagagliaio di una macchina e lo portarono in una casa dove rimase imprigionato per nove giorni. “Sanguinavo moltissimo perché mi avevano colpito molte volte in faccia con un martello e con le ginocchia” racconta. “Mi incatenarono e mi misero delle manette. Ho vissuto li dentro nove giorni orribili”, ricorda e sottolinea che l’unica cosa che lo consolava era recitare il rosario. Durante quei giorni, racconta, ha potuto pregare i migliori rosari della sua vita con l’aiuto degli anelli delle catene con cui lo tenevano prigioniero i sequestratori che ricevevano i suoi consigli di giorno e che lo torturavano durante la notte. Nove giorni in totale durante i quali non ha ricevuto ne cibo ne acqua. Il sequestro è stato solamente uno degli innumerevoli attacchi che ha ricevuto, come per esempio, il lancio di alcuni proiettili di mortaio mentre celebrava la messa. In un’altra occasione misero una bomba nella parrocchia e gli spararono in una gamba. “La nostra comunità si basa su quattro punti: Gesù, il Papa, il Vescovo ed il sacerdote. Per questo, quando vogliono attaccare, attaccano il sacerdote perché così attaccano la base” assicura. Inoltre precisa:  “negli ultimi 100 anni il mio popolo ha sofferto otto ondate di violenza. In quattro occasioni si sono visti costretti a fuggire dal paese o dalla città”. Secondo le sue spiegazioni i mussulmani radicali ”non accettano alcun gruppo educato ed i cristiani sono tra gli ultimi di tali gruppi che rimangono”. “Il problema del Medio Oriente non è la lotta per il petrolio ma (mussulmani) sunniti e sciiti che lottano per il territorio. Questa è la sola cosa che gli interessa” segnala. “Non vogliamo andarcene, siamo orgogliosi di essere iracheni” Di fronte ad una situazione tanto drammatica Padre Douglas è convinto che “nessuno può vivere eternamente in una roulotte ed ancor meno famiglie intere in stanze di pochi metri”. Per questo chiede un aiuto per costruire nuove case o per alloggiare altrove i rifugiati. Insiste inoltre che uno dei punti più importanti per andare avanti è creare opportunità culturali tra i giovani: “appartengo ad un paese con più di 6000 anni di civiltà ma adesso non abbiamo cultura, abbiamo bisogno di educazione, scuole. Inoltre sarà importante capire come aiuteremo la nostra gente quando uscirà il trauma che si portano dentro”. “Molti non vogliono lasciare il paese. Siamo orgogliosi di essere iracheni ed anche della nostra fede nonostante Iraq non sia orgoglioso che ne facciamo parte”

19 Maggio 2015

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michael9collins


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