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Perché la crisi in Turchia non sorprende. Benedetto XVI lo aveva detto
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Perché la crisi in Turchia non sorprende. Benedetto XVI lo aveva detto

In queste ore così convulse ed incerte sul destino della Turchia e sulle conseguenze politiche, non solo interne, viene da chiedersi come tentare di interpretare e analizzare quanto accaduto la notte scorsa. Ma viene da chiedersi anche: era prevedibile? Si poteva evitare non solo l’ultimo tentativo di golpe ma anche tutta la situazione poco chiara e, spesso, poco democratica che da anni vige nel Paese che un tempo fu guidato da Ataturk?

Non solo forse era tutto prevedibile e il Paese ora sotto Erdogan poteva avere un altro futuro, ma c’è stato chi, anni fa, aveva messo in guardia l’Occidente dal pericolo/opportunità Turchia. Sì, perché la Turchia da sempre rappresenta allo stesso tempo un pericolo e una grande opportunità. Il pericolo di una mina vagante, di un crocevia di tensioni e instabilità; ma anche la grande opportunità di un Paese illuminato, che possa essere – o poteva essere – la chiave di volta per stabilizzare un medio-oriente troppo spesso diviso tra estremismi e tentativi di moderazione, sia politici che religiosi.

E’ questo, infatti, il quadro che emergeva dalle parole del Cardinale Joseph Ratzinger, ben dodici anni fa, quando, il 17 settembre 2004, intervenne durante un Convegno pastorale a Velletri sulla questione Turchia-UE, ponendo la questione non solo in termini politico-religiosi, ma anche di natura storica e culturale.

“Contrapposta all’Europa cristiana era la Turchia, meglio l’Impero Ottomano – affermava il futuro Benedetto XVI –. Dire che era in contrapposizione non è certo una condanna, poiché anche all’interno dell’Europa cristiana non mancavano i conflitti sanguinosi: è però un fatto storico. I due mondi avevano impostazioni culturali molto diverse. E, per passare all’oggi, se è vero che Kemal Ataturk ha formato una Turchia laica, i suoi fondamenti restavano islamici. Analogamente è successo con l’Europa, somma di Stati laici, ma costruiti – anche se oggi lo negano – su fondamenti cristiani. I nostri mondi culturali sono diversi e, con tutto il rispetto che si può e deve avere per l’altro, sarebbe antistorico e anche contro l’anima di questi due mondi pensare di unirli solo per ragioni economiche. Sarebbe un errore grande ridurre la vita umana, il corpo sociale alle logiche del commercio internazionale. Non è giusto, così non si può andare avanti. Le identità culturali vanno valorizzate. Il continente europeo – continua Ratzinger – ha una sua anima cristiana; e la Turchia, che non è l’Impero ottomano nella sua estensione ma ne costituisce pur sempre il nucleo centrale, ha un’altra anima, naturalmente da rispettare. L’Europa dovrebbe intrattenere ottime relazioni in tutti i campi con la Turchia. E la Turchia dovrebbe formare un suo continente culturale con il mondo arabo: oggi però le tensioni tra le parti sono tali da rendere difficile questo. Però, con gli elementi europei in essa presenti e l’anima islamica nativa, la Turchia potrebbe fare da ponte tra Europa e mondo arabo. Con grande vantaggio per tutti”

Delle parole forti che in qualche modo furono riprese, una volta Pontefice, il 12 settembre 2006, durante l’ormai celebre discorso di Ratisbona, la Lectio Magistralis su “Fede, Ragione e Università”. In quella lezione Benedetto XVI citò il Corano: “nessuna costrizione nelle cose di Fede”, e fece sue anche le parole di uno degli ultimi imperatori bizantini che, prima della caduta di Costantinopoli, affermò: “Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. E con queste frasi il Papa disse apertamente che, se la Turchia vuole fare parte dell’Unione Europea, deve essere consapevole di questo, perché proprio su questo l’Europa è fondata: sull’incontro tra Fede e ragione.

Benedetto-XVI

Come se non bastasse, Benedetto passò poi dalle parole ai fatti, quando il 30 novembre del 2006, durante il suo viaggio apostolico in Turchia, incontrò Mustafa Cagrici, gran mufti di Istanbul, col quale pregò insieme all’interno della Moschea Blu, entrambi rivolti verso la Mecca. Proprio in occasione di quel viaggio, il Pontefice chiese alle autorità turche di “agire con grande benevolenza verso i cristiani posti sotto la giurisdizione turca”, come quel principe musulmano del Nordafrica al quale “Papa Gregorio VII, nell’anno 1076, scrisse della speciale carità che cristiani e musulmani si devono reciprocamente poiché noi crediamo e confessiamo un solo Dio, anche se in modo diverso”.

Certamente i drammatici fatti avvenuti ieri notte non riguardano solo la religione e i rapporti tra cristiani e musulmani, ma è palese quanto la differenza culturale, politica e – anche – religiosa, tra Turchia e Occidente, abbia portato ad una crisi sempre più grande e a delle politiche interne e internazionali errate. Ma c’era stato chi lo aveva detto. Non lo abbiamo ascoltato.

16 Luglio 2016

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