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Letture e Commento alla liturgia del Santo Natale
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Letture e Commento alla liturgia del Santo Natale

Vivere il Natale nel terreno dei nostri giorni

Tante persone durante le feste natalizie vanno con i loro ricordi alla prima infanzia e ciò testimonia che si tratta di molto di più che semplice nostalgia. Dietro vi è tutta una ricerca di un principio santo, del Paradiso.

Nell’inizio risplende il tutto.

Sentiamo l’eco della promessa di una vita veramente beata e percepiamo che può diventare realtà. La Chiesa ha sempre preso sul serio questo anelito del cuore dell’uomo ed ovunque ha proclamato il suo annuncio natalizio come superamento delle tenebre e lo spuntare della stella del mattino: con l’annuncio della nascita di Dio nella stalla di Betlemme la Chiesa offre la vera risposta a quanto il cuore dell’uomo cerca.

In questa mio contributo vorrei proporre le immagini che rappresentano il mistero del Natale. Le immagini ci aiutano ad aprire una porta sul mistero dell’incarnazione, un mistero che, non solo supera la nostra ragione, ma tocca tutto il cuore, raggiungendo persino le regioni del nostro inconscio.

Le immagini ci richiedono soltanto di affidarci al nostro unico Salvatore, che si è fatto uomo, così come siamo, con i nostri desideri, con le paure e con i nostri bisogni, con le nostre delusioni e con le nostre speranze, con la nostra fede e con i dubbi della vita, con i nostri presentimenti dell’altro mondo, che possono irrompere nel nostro mondo e trasformarlo.

Molti celebrano Natale anno dopo anno e rimpiangono la perduta infanzia, la fede scomparsa in quel mondo sano che è loro apparso un tempo a Natale. Ricordano le feste dell’infanzia cariche di mistero, un amichevole stare in famiglia. Eppure il semplice ricordo delle feste passate non è garanzia che le feste di oggi abbiano lo stesso risultato.

Se non ci chiariamo di continuo cosa celebriamo esattamente e cosa ha da dirci questa festa, il Natale inevitabilmente ci deluderà. Nessuna festa mostra oggi in modo più chiaro della festa del Natale la spaccatura tra ideale e realtà.

In ognuno di noi vi è una profonda nostalgia del Paradiso, di relazioni buone e sane all’interno della famiglia, di sentirci a casa in questo mondo. Eppure, se manca il continuo riferimento al contenuto della festa, non c’è neppure la gioia propria del Natale. Il dolore per la perdita della fede in un senso più profondo e per il frantumarsi delle relazioni umane fa scendere piuttosto un velo di tristezza sui cuori.

Allora questo Santo Natale sia attraversato da questo interrogativo di fondo: come parlare del Natale in modo da festeggiarlo come possibilità di un nuovo inizio per noi, come una possibilità che tutto si rinnovi in noi e attorno a noi?

Il mio augurio è che, in questo Santo Natale, queste immagini che ora propongo alla nostra attenzione, possano condurci alla realtà vera della nostra vita, che un’altra realtà, diversa, quella divina, possa irrompere nella nostra esistenza di tutti i giorni, che ci possiamo sentire toccati nei nostri desideri più profondi.

Certo, non tutte le immagini ci parleranno, possiamo, però, scegliere quelle che ci toccano il cuore. Le immagini sono come delle finestre attraverso le quali si può osservare il mistero di Dio ed il mistero della nostra vita. Non sono fatte per spingerci a fare qualche cosa. Ci lasciano la libertà di vedere quello che vogliamo veramente vedere rendendo possibile un nuovo punto di vista. Aprono squarci per i quali riceviamo nuove vedute sulla realtà che forse, finora, ci sono scappate. Nel tempo del Natale è interpellato il nostro desiderio di uscire dalla realtà di tutti i giorni verso il luogo nel quale avere un terreno saldo sotto i piedi, verso il luogo di Dio.

Nel Natale noi celebriamo un nuovo inizio. Lo ha già detto San Leone Magno in una sua omelia natalizia: “Dato che noi celebriamo l’apparizione del nostro Redentore, è chiaro che noi celebriamo un nuovo inizio”.

La via antica, vuole dire il grande Papa, nel Natale viene accorciata e si compie il passaggio all’uomo nuovo. La nostra vita ha ora una qualità nuova: non siamo più legati al nostro passato, alle ferite della nostra storia, ai vecchi modelli che ci impediscono di vivere.

Dio stesso ci dà il via per un nuovo inizio, poiché come un bambino si immerge nella nostra realtà. Quale che sia stata la nostra storia, quali che siano i pesi che portiamo, possiamo lasciarli e iniziare di nuovo, poiché Dio stesso inizia di nuovo con ognuno di noi.

In definitiva il Natale vuole darci speranza al di là dei dubbi e delle delusioni, vuole darci un terreno sicuro nel mezzo del cambiamento e del vortice dei tempi, un terreno a partire dal quale possiamo trovare un nuovo inizio per noi e per il nostro mondo.

Il Natale per vivere la spiritualità nella vita odierna

Il sogno di Dio

Tutto ha avuto inizio da Dio che ebbe un sogno. Sognò la creazione. E la realizzò. Creò il cielo e la terra, i fiori e le erbe, gli alberi e i boschi, i monti e le colline, i fiumi e il mare, i pesci e gli uccelli, gli insetti e i mammiferi.

Anche se l’uomo, oggi, si compiace di derivare dalla scimmia e si vergogna di essere creatura di Dio, noi continuiamo a credere e a vivere sapendo che tutto ha avuto inizio da un atto di amore di Dio, che tutto viene da Lui e a Lui ritorna.

Dio ha avuto un sogno, ma al suo sogno, mancava qualcosa.

Allora sognò l’uomo e lo creò con amore infinito, infatti lo ha creato a sua immagine e somiglianza. Maschio e femmina lo creò. Si hai capito bene, lo creò, perché l’uomo è uno, maschio e femmina. Ma l’uomo, ben presto, offuscò l’immagine che di sé Dio si era fatto. Si estraniò da Dio. Fuggì davanti a Lui e, inevitabilmente, fuggì anche davanti a se stesso.

L’uomo si è separato dalla sua origine. Non visse davanti a Dio, ma si nascose ai suoi occhi.

L’uomo si è ripiegato su se stesso. Chiuse le porte del proprio cuore e non permise più a Dio di entrarvi.

Non solo rinunciò alla comunione con Dio, ma si rivolse anche contro se stesso e contro i suoi fratelli e le sue sorelle. L’uomo si è incamminato per sentieri sbagliati, per vie tortuose come dice la Scrittura, e si è perso nella foresta delle proprie bugie e delle proprie incongruenze.

Ma Dio non demorde, mai! Dio è amore e non può fare altro che amare.

Allora Dio rifece il suo sogno. Sognò come effettivamente aveva concepito l’uomo. E attuò il proprio sogno ponendo “un nuovo inizio”. Dio si è fatto uomo!

Dio si è incarnato nel proprio Figlio, nell’unico Figlio, l’immagine della sua gloria. Ecco il sogno che Dio ha rifatto: “Il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre”, si sarebbe incarnato e avrebbe ristabilito l’immagine e la somiglianza originaria dell’uomo.

Avrebbe mostrato agli uomini come essi potevano essere se fossero vissuti uniti a Dio.

Avrebbe ricordato ad essi la loro origine divina, il nucleo divino, la scintilla divina che ancora portano in sé, ma che è stata offuscata dal loro peccato.

Ecco, a Natale, celebriamo proprio il sogno di Dio divenuto visibile e realtà in Gesù Cristo. E celebriamo pure la grandezza della dignità dell’uomo manifestatasi nella propria pura essenza, l’umanità di Gesù Cristo.

La realizzazione del sogno di Dio: nato dalla Vergine

Il nuovo inizio del sogno di Dio è stato l’incarnazione del proprio Figlio, dell’unico Figlio, nel grembo di una Vergine. Questo Figlio non doveva semplicemente prolungare la serie delle generazioni, che erano sempre più sprofondate nella colpa.

Un nuovo inizio avrebbe dato agli uomini la possibilità di ricominciare a loro volta da capo, di riprendere in mano la propria vita e di plasmarla così come Dio la aveva concepita.

La nascita dalla Vergine Madre è un segnale per l’uomo, per ogni uomo: “Non sei più prigioniero della tua storia, delle tue trasgressioni e delle tue offese, tu puoi affrancarti dalla storia dei tuoi errori e traviamenti. Oggi puoi ricominciare da capo.

Lo ha detto già San Leone Magno (+ 461) in una omelia natalizia: “Dato che noi celebriamo l’apparizione del nostro Redentore, è chiaro che noi celebriamo un nuovo inizio”. La via antica nel Natale viene accorciata e si compie il passaggio all’uomo nuovo.

Puoi di nuovo coltivare il tuo campo che, per la tua disattenzione e poca cura, è diventato pieno di spine. Cominciare vuol dire bonificare. Puoi bonificare, cioè rendere buono, il campo della tua vita, della tua storia e portare molto frutto e far rifiorire la tua bellezza originaria, perché proprio a questo sei chiamato”.

Nella nascita del suo unico Figlio dalla Vergine Maria, Dio ha reso manifesto che neppure noi siamo nati “da sangue, da volere di carne, da volere di uomo, ma da Dio siamo stati generati” (Gv 1,13). Noi non siamo coloro che devono adempiere la volontà dell’uomo, che diventano come i loro padri vorrebbero che diventassero, che sia adattano e che si definiscono mediante le loro opere. Noi non siamo nati dalla volontà della carne mortale, caduchi e provvisori.

In noi, invece, è stato seminato il seme incorruttibile e che non marcisce di Dio. Per capire bene chi siamo e che cosa siamo, non bisogna più guardare al nostro albero genealogico, alla storia della nostra famiglia, ma riconsiderare bene che siamo nati da Dio, siamo suoi figli, che veniamo da Dio e torniamo a Dio.

La nostra persona e la nostra vita si definisce solo se la leggiamo alla luce di Dio.

Così, nel Natale, Dio pone in ogni uomo un nuovo inizio. Dio dà a ciascuno di noi la possibilità di realizzare in maniera unica e irripetibile l’immagine e la somiglianza che Lui ha di ciascuno di noi.

Si è manifestata l’umanità di Dio

Nella Lettera di San Paolo Apostolo a Tito leggiamo questo passaggio pregnante che esprime bene il mistero del Natale: “Si sono manifestati la bontà di Dio, Salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini” (Tt 3,4).

Il termine nell’originale greco che significa “amore per gli uomini”, ossia philanthro-pìa, viene abitualmente tradotto dal latino humanitas.

Nel bambino divino Gesù, cioè, è diventata visibile la vera umanità, così come l’ha pensata e voluta il Creatore, cioè proprio l’immagine originaria dell’uomo. E, tale umanità, è contraddistinta da bontà e amore. Questo bambino irradia mitezza e cordialità. È buono in sé, verso di sé e verso tutti gli uomini.

Crede nel bene e aiuta così quel nucleo buono che è presente nei suoi fratelli e nelle sue sorelle ad emergere. Non ama soltanto il suo prossimo, gli amici e i conoscenti, e, neppure, solo i suoi nemici, ma è l’Amore stesso. La sua stessa essenza sta nell’essere Amore.

Paolo, nella citata Lettera a Tito vede la situazione dell’uomo prima della comparsa del Cristo come una situazione disastrosa, disordinata e disperata; “Eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda” (Tt 3,3).

La manifestazione della bontà di Dio in Gesù Cristo e il suo amore per gli uomini ci hanno tirato fuori proprio da questa situazione. Come dice la Lettera a Tito, Dio ci ha salvato. Ci ha liberato dalle catene che ci tenevano legati.

Il Signore, nella sua infinita bontà, ha posto fine alle nostre lacerazioni e ai nostri traviamenti e ci ha riportato sulla retta via, quella della vera vita.

Ci ha liberati dall’ossessione dell’odio.

Quando si sono manifestati la bontà di Dio, Salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, nell’umanità di Cristo Gesù, questa vera immagine dell’uomo ha cambiato anche qualcosa in noi. Ci ha messo in contatto con l’immagine originaria che Dio si è fatto di noi. Ha tolto lo sporco che aveva deformato la nostra immagine e ha fatto brillare di una nuova e rinnovata bellezza l’immagine originaria.

Nato in terra straniera

Il Vangelo secondo Luca descrive la nascita di Gesù come una nascita avvenuta nel corso di un viaggio, come una nascita avvenuta in terra straniera.

Tutto questo è interessante perché Luca, originario della Grecia e impregnato del pensiero greco, concepisce l’incarnazione di Dio in Cristo Gesù proprio come lo concepivano i greci; così, per lui, Gesù Cristo è il viandante divino che discende dal cielo per camminare con noi e per ricordarci di nuovo che, dentro di noi, c’è una scintilla del divino. Egli ci dice che noi non siamo solo uomini di questa terra, ma, nello stesso tempo, anche uomini del cielo, uomini che sono come Gesù in cammino fin quando non saranno anch’essi arrivati alla beatitudine eterna, senza fine.

Così, l’immagine del cammino, affiora già nella nascita di Gesù. I suoi genitori debbono mettersi in viaggio. Da Nazareth, dalla loro patria in Galilea, devono spostarsi a Betlemme, in Giudea, per farsi registrare negli elenchi ufficiali civili, tributari. E là sperimentano che cosa significa essere in terra straniera: per loro non c’è posto nell’alloggio. Le case degli uomini per loro, per il Figlio di Dio, sono tutte chiuse.

La nascita di Gesù in terra straniera diventa, così, una immagine viva della nostra condizione umana. Noi viviamo sulla terra, ma, in fondo, non siamo qui a casa nostra. La nostra casa e la nostra patria è il cielo. Le case degli uomini sono troppo strette per noi. La casa che occorre alla nostra anima deve essere più spaziosa. In noi abita Dio che non può essere rinchiuso in nessuna delle abitazioni umane, per quanto grandi ed accoglienti siano. Ma lì dove Dio abita in noi, lì c’è la nostra vera patria.

La terra straniera, che l’evangelista Luca descrive in maniera tanto drammatica, diventa, di colpo, il centro del mondo. Gli angeli appaiono e cantano la lode della gloria di Dio e l’inno della pace, che si stabilisce sulla terra se Dio trova posto in noi.

A Natale siamo soliti ornare le nostre abitazioni per dire che la nostra dimora in terra straniera è diventata la nostra patria anche se provvisoria, perché Dio stesso abita fra noi, sì, perché Dio vuole nascere anche in noi. Se Dio è presso di noi, allora anche noi possiamo essere presso di noi, essere a casa, sentirci finalmente a casa, allora il cielo si apre sulla terra, allora il cielo e la terra si toccano proprio lì dove noi siamo.

Molti uomini e donne si ritrovano nel destino dei genitori di Gesù, lontani dalla loro terra. Pensavano che avrebbero trovato comprensione tra altri uomini e donne ma, questi, vedevano solo i loro bisogni, impossibilitati a guardare altro che non fosse il loro ombelico. Ancora peggiore deve essere la sorte di coloro che provengono da un’altra cultura, da cui sono stati costretti a fuggire, e cercano un asilo.

Questo vuol dire che la nostra umanità cerca una casa. Abbiamo bisogno di uno spazio protettivo, in cui il bambino indifeso che è dentro di noi possa crescere lontano dai pericoli. Abbiamo bisogno di un posto in cui radicarci, affinché il nostro uomo interiore possa espandersi.

Nello stesso tempo la ricerca di un asilo ci mostra che siamo come Maria e Giuseppe in cammino e che siamo pellegrini senza una dimora permanente. L’asilo, il ricovero, che qui sulla terra ci mette al riparo, è sempre e solo un asilo provvisorio che ci rimanda all’asilo eterno, che Dio ci donerà al termine del nostro cammino terreno.

Poiché tutti siamo pellegrini, la ricerca di un alloggio da parte dei genitori di Gesù ci invita ad offrire un alloggio agli uomini in cammino, un alloggio in cui essi possano trovare temporaneamente pace, lontano dalle lotte interiori, un alloggio in cui il loro bambino interiore nasce e cresce fino al momento in cui può proseguire sulla strada della vera umanizzazione e trovare la propria via.

La nascita in una stalla

Gesù nacque in una stalla “perché non c’era posto per loro nell’alloggio”.

Dal Medioevo in poi gli artisti hanno rappresentato volentieri la stalla in cui nacque Gesù bambino. Evidentemente l’uomo è stato molto colpito da questa immagine. Pure la psicologia vede nella stalla un simbolo importante ed afferma, con Carl Gustav Jung, che l’uomo dovrebbe sempre ricordarsi di essere solo la stalla in cui nasce Dio e non credere di essere il palazzo che vorrebbe volentieri offrirgli.

Gesù nasce lì dove alloggiano gli animali. Lì dove abitano gli uomini, dove essi si trovano a loro agio, le porte rimangono chiuse. La stalla indica quella sfera in cui abitano gli animali, cioè gli istinti, le pulsioni, la vitalità, la sessualità. Ci piacerebbe, e quanto ci piacerebbe!, nascondere ai nostri stessi occhi e agli altri uomini, questa sfera animalesca che è presente in ciascuno di noi. Ne proviamo imbarazzo, perché non riusciamo a dominarla. Essa non è pulita. È maleodorante. Non è chimicamente disinfettata. Anche dopo essere stata pulita, ricorda sempre lo sterco e l’urina, cose che preferiamo non guadare e di cui mai parliamo. Tutto questo è profondamente sbagliato ed anche un pò penoso.

Eppure, il Signore, proprio lì vuole nascere in noi.

Noi non troviamo Dio dove lavoriamo, dove ci stabiliamo, dove invitiamo gli altri uomini, lo troviamo nella nostra stalla. Questo significa che ci viene richiesta la più grande virtù: l’umiltà.

Dobbiamo avere l’umiltà che ci donerà il coraggio di aprire la nostra stalla a Dio che viene. Solo se gli presentiamo tutto quello che c’è realmente in noi, Egli entrerà in ciascuno di noi. Dio non si accontenta di abitare nelle camere ben pulite che solitamente riserviamo agli ospiti, ma vuole scendere volentieri soprattutto nelle nostre profondità. Il Signore viene perché vuole illuminare anche le nostre tenebre.

Nelle più belle immagini del Natale la luce che viene irradiata dal Bambino divino illumina tutta la stalla e diffonde su ogni cosa un chiarore caldo e soffuso. Lì, proprio lì, dove giace il Bambino divino, tutto può trovare posto, lì ogni cosa diventa più umana, più benevola, più buona.

Il Bambino nella mangiatoia

L’angelo annuncia ai pastori: “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Mentre gli uomini chiudono le loro case al Bambino divino, gli animali gli cedono la loro mangiatoia. Si ritraggono. Quasi percepiscono che sta per verificarsi il mistero di una nascita, che una madre ha bisogno di un riparo per il suo bambino.

Gli uomini temono che quella coppia straniera, che chiede solo un rifugio, li possa disturbare. Ci sono molti racconti in cui all’uomo viene annunciata la visita di Dio ed egli come si comporta? L’uomo o la donna riordinano per bene la loro casa e cucinano quanto di meglio hanno da offrire. Poi attendono tutto il giorno l’arrivo del Signore. Ma Dio non arriva. Compare, invece, un povero bambino che subito viene mandato via perché potrebbe sporcare la tavola tutta bella apparecchiata.

Similmente compare un mendicante, ma pure lui viene respinto perché potrebbe turbare la tanto attesa visita di Dio.

E neppure una vecchia e bisognosa donna riceve qualcosa da mangiare. Perché togliere dalla tavola quello che si è preparato per il Signore?

Completamente delusi, l’uomo o la donna, vanno a letto. E Dio compare loro in sogno e mostra loro di essere venuto tre volte, ma di essere sempre stato respinto, perché la sua visita è proprio in chi, in quel momento, ha bisogno di aiuto. Solo così possiamo sperimentare che era proprio Dio colui a cui abbiamo aperto la casa.

Il Bambino nella mangiatoia mostra come Dio abbia sognato l’uomo in maniera del tutto diversa da come gli uomini si aspettano. Il Bambino divino non nasce in un palazzo, in una clinica privata, in un ospedale, nasce in una stalla. Non ha un morbido lettino, ma una dura mangiatoia. Non lascia trapelare nulla della sua dignità divina. È impotente. Ha bisogno delle premure umane. Si è affidato alle cure umane. Va allattato e nutrito. Va curato.

Quando guardiamo il Bambino Gesù nella mangiatoia, allora percepiamo quale è il sogno di Dio nei nostri riguardi.

Proprio lì dove siamo alla fine, dove siamo caduti in un vicolo cieco, dove sperimentiamo il massimo della incomprensione, dove veniamo respinti e rifiutati, proprio lì e non altrove Dio vuole nascere in noi.

Lì dove non vogliamo guardare, nella sfera delle nostre pulsioni, negli abissi della nostra anima, lì dove in noi fa freddo e si nascondono i nostri lati più duri, proprio lì è pronta in noi la mangiatoia in cui Dio vuol adagiare il suo Unico Figlio, affinché possa nascere anche in noi e diventare per noi il Redentore che ci libera dal peso della schiavitù, dalla prigione interiore delle nostre ossessioni e paure, dalle nostre proiezioni, dalle nostre immagini ideali ma non reali, per salvarci e fare di ciascuno di noi l’uomo completo e realizzato così come lo ha sognato il suo Creatore.

I pastori nei campi: l’arte di saper ascoltare e di stupirsi

Mentre la Vergine Maria fascia il bambino che ha appena avuto e lo depone nella mangiatoia, i pastori se ne stanno sotto il cielo nei campi e fanno la guardia al loro gregge. Loro, proprio loro, i pastori, diventano i primi messaggeri del Dio che si è incarnato.

Perché proprio loro?

I farisei e i presunti giusti di Israele li ritenevano peccatori e li disprezzavano.

Invece, per la cultura greca, erano considerati persone particolarmente capaci di percepire gli eventi, anche quelli più straordinari. I pastori, che per vita e per mestiere, custodiscono il loro gregge, sono considerati capaci di prendersi cura degli animali, gente capace di meditare, di percepire ed, ecco, si ritrovano immersi, da protagonisti, in un fatto che mai avrebbero potuto pensare.

Si ritrovano dinanzi al Bambino divino, vigilano al suo fianco, proprio come fanno di notte con il gregge loro affidato. Durante la notte, quando tutti gli altri dormono, loro sono svegli. Orecchiano nella notte per sentire se arriva un qualche pericolo per le loro pecore, o se arriva con passo furtivo un ladro a rubarne loro qualcuna.

I pastori sono uomini che ascoltano, che sanno ascoltare e che tendono l’orecchio ai fruscii della notte.

L’orecchio non dorme mai, ma è attivo e ode anche di notte.

Ascoltando si accoglie quanto si offre al nostro orecchio. Coloro che sanno ascoltare sono, perciò, chiaramente più disposti anche ad accogliere il Bambino divino che vuole nascere in ciascuno di noi.

Si legge nel Vangelo che i pastori montavano la guardia. Nella notte, quando non si vede più, essi si fidano delle loro orecchie, del loro ascolto. Essi orecchiano lungo la notte e sono, così, un’immagine degli uomini che sanno ascoltare.

L’uomo che sa ascoltare è aperto al nuovo che gli viene annunziato. L’uomo capace di ascolto sa aprirsi all’inatteso. Porge con attenzione l’orecchio a quanto gli viene comunicato.

Il pastore, uomo disprezzato ed evitato da tutti, diviene così immagine di colui che ascolta ed obbedisce, che è attento, che non è né distratto né dissociato, ma che è sempre presente a se stesso, è sempre presso di sé.

C’è bisogno di questo ascolto attento ed obbediente per poter percepire il messaggio inaudito dell’incarnazione di Dio, per cogliere l’immensità nelle parole pronunciate loro dall’angelo. L’ascolto è il verbo più importante che ricorre nella Bibbia. Dio sempre ci invita ad ascoltare le sue parole per trovare la vera vita.

Gesù stesso nei Vangeli ci chiede di ascoltare quanto ha da dirci per poter avere la vita e averla in abbondanza.

L’ascolto, poi, ha a che fare anche con il nostro mondo affettivo. I sentimenti passano attraverso l’ascolto. Così cresce nei pastori la gioia ad essi annunciata dall’angelo. Essi, invitati ad ascoltare, lo fanno ed ecco, per loro, si schiude dinanzi i loro occhi il grande mistero dell’incarnazione di Dio nel piccolo ed indifeso Bambino divino, che essi riconoscono, proprio perché hanno saputo ascoltare l’annunzio fatto a loro.

Lo splendore dell’angelo

I pastori non solo ascoltano il messaggio dell’angelo.

Possono anche vedere.

“Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce”. I pastori sono come accecati dallo splendore dell’angelo. Non vedono la sua figura, bensì lo splendore che da lui si irradia. Sono avvolti dalla sua luce splendente. Non vedono qualcosa di determinato che potrebbero giudicare con precisione. Ad essere illuminati sono piuttosto i loro occhi. In essi tutto diventa chiaro. Riescono a vedere pur nel mezzo della notte.

Vedono il mistero di Dio e il mistero del mondo!

I loro occhi si aprono e vedono la luce di Dio nel mezzo della notte della loro vita. La loro notte è trasformata. La luce di Dio brilla nelle tenebre della loro notte. In questa luce sfolgorante essi riescono già a vedere la loro redenzione e salvezza. Non debbono più avanzare a tastoni nel buio più profondo, come i ciechi. I loro occhi si sono aperti. Possono riconoscere la vera realtà, quella autentica, cioè che Dio è presso di loro, che Dio ha inviato il suo angelo, che la luce di Dio è più forte di tutte le tenebre, che la luce di Dio squarcia tutte le tenebre, anche quelle più profonde.

L’angelo non può mai mancare in nessuna rappresentazione del Natale. Egli conferisce a quell’evento così semplice uno splendore proprio del mondo divino. Spiega che cosa è accaduto in questa semplice nascita di un bambino in una mangiatoia.

Tutti i giorni nascono dei bambini e, spesso, essi nascono in condizioni di estrema povertà, come avvenne allora nella povera stalla di Betlemme. Solo la presenza dell’angelo immerge questo evento quotidiano in uno splendore divino. Solo la presenza dell’angelo dona a questo evento lo splendore della luce divina.

Visto così, il Natale non è dunque un idillio di cui provare nostalgia, perché ci riporta a qualcosa dell’incanto della nostra infanzia. Il Natale, così come ci vuole dire la scena del Vangelo di Luca, è piuttosto un qualcosa che vuole verificarsi nella nostra vita quotidiana, proprio lì dove viviamo, dove lavoriamo, lì dove sediamo accanto al nostro gregge, lì dove custodiamo quanto Dio ci ha affidato, lì dove assolviamo con attenzione e cura i compiti che ci sono stati assegnati.

Se saremo in grado di vegliare come i pastori, se sapremo ascoltare come loro, se riusciremo a rinunciare al sonno delle nostre illusioni e proiezioni, se sapremo aprire gli occhi sulla realtà, allora, anche noi, percepiremo l’angelo che ci accompagna lungo tutta la nostra vita che si svolge nel quotidiano.

L’angelo del Signore ci vuole spiegare quello che, giorno dopo giorno, avviene in noi e attorno a noi. Vuole mostrarci la realtà autentica e non quella che ci costruiamo per paura, per proiezione, per comodità.

Quello che vediamo con i nostri occhi fisici, infatti, non è il tutto.

Il nostro lavoro, le nostre relazioni, le nostre preoccupazioni e le nostre fatiche costituiscono la nostra realtà esteriore. Ma, dietro di essa brilla lo splendore di Dio anche se non sempre lo capiamo. Dio è nato, è venuto tra noi. Si è incarnato ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Nell’incarnazione del proprio Figlio è diventato in maniera indissolubile una cosa sola con noi.

Da allora la sua luce brilla nelle nostre tenebre. La sua bontà si estende sui nostri malumori. Il suo amore scorre proprio lì dove ci sentiamo duri e aridi.

Dobbiamo solo tenere aperti, come i pastori, gli occhi nel mezzo del sonno della nostra vita, al fine di riconoscere l’angelo del Signore che ci sta vicino. Egli ci darà il lieto annuncio che lo splendore di Dio circonda anche la nostra esistenza.

Gli animali alla greppia: la sapienza degli umili

Il bue e l’asino compaiono fin dai primi tempi in ogni rappresentazione della greppia. Già Origene interpretò il passo di Isaia 1,3 riferendolo alla nascita del Bambino Gesù: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.

Mentre gli uomini sono ciechi nei confronti del mistero dell’incarnazione di Dio, i due animali sentono che là, nel Bambino deposto nella mangiatoia, è apparso visibilmente Dio stesso.

Il Libro dei Numeri dice che l’asina su cui cavalcava Balaam vide l’angelo, mentre il celebre profeta non scorse l’angelo che gli sbarrava la strada, perché questa era troppo ripida.

L’asino rappresenta la creatura che comprende la volontà di Dio meglio dell’uomo dotato di intelletto. L’asino passa per essere un animale testardo. San Francesco chiamava il proprio corpo “frate asino”. Il corpo sfugge spesso al dominio della ragione, ma ha un sesto senso per il nostro bene. Vorrebbe diventare il tempio di Dio, la mangiatoia in cui può nascere il Bambino divino. Ci indica se andiamo contro l’immagine che Dio ha di ciascuno di noi. Fa sentire la sua voce se l’angelo di Dio ci sbarra la strada per impedirci di imboccare vie scoscese, vie che portano alla rovina, alla malattia e alla morte.

Il bue simboleggia la mansuetudine e la forza piena di bontà. Rappresenta la nostra vitalità ed energia, la nostra natura pulsionale e la sfera istintuale dell’uomo. Con il nostro intelletto non riusciamo a vedere il Bambino nella mangiatoia. Non comprendiamo che il Bambino divino presente in noi ha bisogno di uno spazio protettivo.

La tradizione, mista a leggenda, racconta che l’asino e il bue riscaldano con il loro fiato il piccolo Bambino infreddolito. Sono per lui come uno spazio materno protettivo. Dobbiamo essere in contatto con il bue e l’asino presenti in noi, con il nostro corpo, con la nostra vitalità, con la nostra sfera pulsionale e istintuale, altrimenti nulla di realmente nuovo può nascere in noi e Dio non può diventare uomo in noi. Il Signore, nostro Dio, vuole permeare, con l’incarnazione del proprio Figlio, tutte le sfere del nostro corpo e della nostra anima, ma lo può fare solo se conduciamo alla greppia anche il bue e l’asino presenti in noi e se impariamo da questi due animali che il nostro corpo possiede una sua propria saggezza, che anche i nostri istinti e le nostre pulsioni sono sagge e comprendono spesso meglio del nostro intelletto il mistero della trasformazione verificatosi con l’incarnazione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

Il Sogno di Giuseppe

L’angelo del Natale si manifesta in modo diverso nel Vangelo di Matteo. Qui non è lo splendore a circondare la nascita. L’angelo appare a Giuseppe in sogno. Giuseppe non comprende che cosa sia successo alla sua promessa sposa Maria. Ella è incinta, ma non è Lui il responsabile di questo stato. Se egli volesse seguire la legge, dovrebbe denunciarla. Questo la condannerebbe sicuramente a morte.

Ma Giuseppe è giusto.

Non vuole osservare la legge, bensì comportarsi in modo il più corretto possibile verso Maria, sua fidanzata, che lui sapeva bene essere una donna irreprensibile. Perciò, pensa di rimandarla in segreto. Quand’ecco un angelo del Signore apparirgli in sogno e dirgli: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,20).

L’angelo spiega a Giuseppe l’evento che l’intelletto non può comprendere e, mostra così, la realtà vera. L’angelo esorta Giuseppe a non licenziare Maria, ma a prenderla con sé. Egli esige in questo obbedienza: “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo” (Mt 1,24). L’angelo del Signore gli apparirà in sogno tre volte ancora e, Giuseppe, farà esattamente quello che gli dirà, fino a quando il Figlio di Dio non avrà raggiunto una età in cui nessuno potrà più attentare alla sua vita.

Anche a noi Dio manda in continuazione il suo angelo, affinché ci mostri in sogno come dobbiamo continuare a camminare per il nostro bene.

L’angelo del sogno ci appare soprattutto quando in noi sorge qualcosa di nuovo, quando siamo intenti ad avvicinarci al sogno originario di Dio. Allora sogniamo bambini. Ma, a volte li trascuriamo. Non prestiamo loro la dovuta attenzione. Nel bambino l’angelo ci promette di entrare in contatto con l’immagine originaria che Dio ha di noi.

L’angelo del Signore ci esorta a prestare maggiore attenzione a questo bambino in noi presente, a far si che nessun Erode della storia lo possa più insidiare, ci spinge ad averne cura e a nutrirlo, affinché si realizzi in noi e nessuna forza esterna ed interna riesca più a separarci da lui.

Giuseppe, sposo della vergine Maria e custode di Gesù, ci insegna che, perché il Bambino divino possa nascere in noi, ci vogliono e l’angelo del sogno e la nostra obbedienza. Solo allora quello che Dio ci promette attraverso l’angelo si incarnerà in noi e modellerà la nostra vita.

L’adorazione dei Magi

Nel vangelo di Matteo notiamo che non sono i pastori ad adorare il Bambino divino, bensì i Magi, gli astronomi, gli interpreti dei segni e dei sogni, gli uomini provenienti dall’Oriente, da lontano, rappresentanti di tutto il mondo pagano.

La tradizione ha visto in essi dei re e, sempre secondo la tradizione essi erano tre, rappresentando i tre campi dell’uomo, il corpo, l’anima e lo spirito e ancora l’intelletto, il sentimento e la volontà.

Si tratta di uomini regali, che sono consapevoli della loro regalità, della loro dignità, eppure, si prostrano dinanzi al Bambino divino, perché riconoscono in lui qualcosa che a loro manca. In questo Bambino loro possono vedere Dio stesso. E, quando Dio risplende in un uomo, allora quell’uomo diventa quello che propriamente deve essere, l’immagine non falsata, unica ed irripetibile di Dio, l’espressione piena di Dio nel mondo.

I Magi ci insegnano che il vero re è colui in cui regna Dio. Quando Dio regna in noi, noi siamo liberi dal dominio dei nostri malumori e delle nostre passioni, nessun uomo ha più potere su di noi, non dipendiamo più da alcuno e siamo veramente uomini regali.

I Magi trovano il Bambino e si prostrano davanti a lui per adorarlo. Gli offrono i loro tesori: oro, incenso e mirra. I loro doni manifestano in pieno chi è il Figlio di Maria.

Egli è un figlio regale, cui spetta l’oro. L’oro, infatti, ricorda lo splendore che circonda il re. È Dio stesso il re che è diventato uomo come noi in questo bambino.

Al Figlio di Dio spetta l’incenso che sale al cielo e apre il cielo sulle nostre vite.

Inoltre, questo Bambino è il Salvatore. Egli guarirà gli uomini, tutti gli uomini, e li guarirà soprattutto dalla ferita che più li tormenta, dalla ferita della morte. Ciò è indicato dalla mirra, il rimedio proveniente dal paradiso terrestre e capace di sanare tutte le nostre ferite.

I tre doni dei Magi mostrano anche chi propriamente noi siamo, quale è il sogno che Dio ha fatto nei nostri riguardi. Noi siamo uomini regali, davvero siamo figli e figlie di re. Il re è colui che vive, non è vissuto dall’esterno, è colui che domina anziché essere dominato da altri o da altro.

Il re è l’uomo integrale, completo, che sta in sé e risponde di sé.

Attraverso l’incarnazione di Dio in Cristo Gesù anche noi diventiamo uomini regali. Dio ha trasformato la nostra natura mortale. Nel nostro profondo noi siamo una cosa sola con Lui. Qui sta la nostra vera essenza.

Poiché Dio con la nascita del proprio Figlio ci ha divinizzati, non abbiamo più bisogno di atteggiarci a dèi che si pongono al di sopra degli uomini. Non abbiamo più bisogno di correre dietro a qualche idolo. La vita divina scorre in noi.

Nel profondo della nostra anima siamo già arrivati al traguardo. Là sale al cielo l’incenso della nostra nostalgia, a quel cielo in cui noi saremo veramente e finalmente a casa. Eppure, la nostra vocazione, consiste nel sanare le ferite di tanti fratelli e sorelle. Non possiamo guarire gli uomini feriti dalla vita, dalla storia, ma Dio ci ha donato lo Spirito sanante di Cristo Gesù, affinché possiamo assolvere il compito affidatoci e, così, costruire il Regno di Dio già su questa terra: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni”. (Mt 10,8).

La fuga in Egitto: la sapienza della vita insicura

L’angelo del Signore non appare a Giuseppe in sogno come un qualcosa di cui bearsi, ma lo sollecita continuamente ad agire. Dio non ci manda solo sogni, ma vuole anche che noi ci diamo da fare per realizzare il suo sogno. La storia dell’incarnazione raccontata dall’evangelista Matteo ci mostra che dobbiamo continuamente alzarci per proseguire sulla strada della nostra maturazione. L’angelo sollecita il Giuseppe addormentato a rimettersi ancora una volta in cammino.

Già a Betlemme egli è in terra straniera. Viene da pensare che sarebbe contento di poter finalmente tornare a Nazareth, nella sua patria.

Ma l’angelo del Signore gli riappare in sogno e gli ordina: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò” (Mt 2,13). E Giuseppe si alza e fugge con il bambino e sua madre in Egitto. L’Egitto era considerato in Israele una terra di rifugio per perseguitati. Gesù è, già da bambino, un perseguitato che deve fuggire in terra straniera e che dipende dalla ospitalità degli uomini.

In terra straniera Giuseppe può far affidamento soltanto sui suoi sogni, in cui l’angelo del Signore torna ripetutamente a lui e gli indica la via da seguire. Non può contare su sacerdoti e scribi. Non ha la sua patria nella sinagoga. Ciò malgrado non è senza patria e senza direttive da parte di Dio. Dio gli manda in continuazione il suo angelo, affinché gli mostri quel che deve fare.

Nel racconto di Matteo fa da sottofondo una grande sapienza. Lì dove siamo insicuri, senza patria, senza il sostegno della nostra famiglia, siamo accompagnati dal Signore. Nel mezzo delle insicurezze della nostra vita l’angelo di Dio ci offre un sostegno e ci illumina. Egli ci dice quale è la nostra situazione e quali sono i pericoli che minacciano la nostra vita.

Quando Dio nasce in noi, quando entriamo in contatto con Dio che crea tutto nuovo in noi, ci sentiamo spesso come in terra straniera. Non siamo capiti dagli uomini che ci circondano. Dobbiamo, allora, entrare in un riparo interiore finché ci diventi chiaro in quale direzione la nostra strada deve andare.

Abbiamo bisogno di appartarci un po’ prima di poter tornare in mezzo alla comunità delle persone con cui siamo chiamati a vivere e convivere. Ma ci vuole del tempo prima che diventiamo forti come il bambino Gesù e possiamo abitare senza paura di essere perseguitati nella nostra patria. La patria di Gesù, la Galilea, era considerata la terra dei pagani, la terra dove pagani ed ebrei vivevano insieme. Essa è l’immagine della nostra vita, in cui l’umano si mischia al divino, la religione alla vita senza Dio, la monotonia della vita quotidiana alla gioia della festa.

Là, nel mezzo della nostra vita quotidiana, il Bambino divino vuole e deve crescere in noi. Là dobbiamo vivere in modo autentico senza sentirci minacciati, senza essere spinti da quelle voci del nostro super-io in una direzione che contraddice e fa del male al nostro vero io.

Conclusione 

In questo contributo ho cercato di proporre immagini che hanno il compito di metterci in contatto con le nostre paure più profonde, ma anche con i nostri desideri più profondi. Le immagini del Natale toccano il fondo stesso della nostra esistenza perché ci riconducono alle radici del nostro essere.

Guidano il nostro sguardo verso tempi lontani, che si sono tuttavia profondamente impressi nella nostra anima. A Natale queste immagini ci ricordano quanto sia fondamentale immergersi nel bagno salvifico della vita divina che scorre in continuo verso di noi.

In questo tempo siamo invitati ad interrompere lo scorrere del nostro tempo per poter meditare su chi realmente noi siamo, da dove veniamo, come deve essere la nostra vita, che cosa ci opprime e che cosa invece ci salva, che cosa ci spaventa della vita e che cosa invece ci dona la fiducia nell’esistenza.

Ogni volta che arriva il Natale, ascoltando il profondo del nostro cuore, ci accorgiamo che il grande desiderio che abbiamo è quello che la nostra vita possa migliorare.

Nelle immagini che il Natale ci offre noi possiamo volgerci proprio al fondamento della nostra vita e lavorare perché essa venga rinnovata fin dalle sue fondamenta, possiamo volgerci al nostro intimo più profondo e cercare la conversione più sincera perché torni a sgorgare nuovamente la fonte dalla quale siamo stati creati e continuamente ricreati: essa mai si esaurisce perché viene da Dio e da Dio vivo e vero stesso si riversa in continuo su di noi.

Il nuovo inizio ci sarà, infatti, solamente se parte dalle nostre radici, se prende in considerazione tutti gli strati della nostra vita e della nostra anima, le divisioni interiori, il sapere mondano, i modelli presi per imitarli, le paure che ci portiamo dietro e dentro da sempre ed i desideri che sempre ci accompagnano.

Se non lasciamo a Dio la possibilità di entrare nella nostra vita, se non permettiamo a Dio di entrare nel nostro intimo più profondo, non vi può essere rinnovamento della nostra esistenza, non permettiamo il nuovo inizio, che tanto desideriamo.

L’augurio che faccio a me stesso ed a tutti voi è che queste immagini ci aiutino a guardare la nostra vita con occhi nuovi. Ci devono aiutare a vivere in modo più intenso e con maggiore coscienza non solo il Natale, ma tutto l’anno, tutti i giorni, tutta la vita.

La nostra vita è tutto un viaggio verso l’eternità e noi siamo chiamati a viverla scoprendo sempre più chi siamo realmente, quante e quali splendide possibilità ci sono in ognuno di noi e quanto grande è la dignità che ognuno di noi possiede, quella di essere Figlio di Dio, amato da Lui.

Solo in questo modo, cioè vivendo con sempre maggiore consapevolezza, ci si aprirà lo sguardo sul mistero delle persone che ci sono accanto, che incontriamo. Solo così potremo vedere in loro non soltanto quanto ci annoia o ci disturba, o quanto ci snerva, in loro non andremo solo a cercare il buio ed il male, ma potremo vedervi anche il chiarore divino che brilla in ogni volto, anche se è nascosto.

Sperimenteremo in modo nuovo anche la creazione che ci sta intorno. Nel sole, nelle stelle, nei boschi, nei prati, nel mare ovunque ci sarà possibile riconoscere Dio, che facendosi uomo e facendosi carne per la nostra salvezza eterna, è sceso in questo mondo e l’ha trasformato e divinizzato alla radice.

L’augurio che ci facciamo è dunque quello di poter celebrare giorno dopo giorno un nuovo inizio, l’inizio che Dio stesso pone dentro di noi, quando lo lasciamo entrare nel nostro tempo, nella nostra casa, nella nostra vita, nel nostro corpo e nella nostra anima.

Dio coltiva un sogno nei riguardi dell’uomo, di ciascun uomo, quindi, anche nei nostri riguardi. Un sogno che diventa realtà in Gesù Cristo. l’uomo, ogni uomo, è un figlio e una figlia regale. È un figlio e una figlia di Dio. Ed è un uomo sanato, guarito, mandato a sanare, mandato a guarire.

Dio coltiva incessantemente questo sogno nei confronti di ogni singola creatura umana.

L’immagine che Dio ha di ogni uomo è sempre unica e irripetibile. Il nostro compito consiste nel rendere visibile nel mondo questa immagine unica ed irripetibile che Dio ha di ciascuno di noi.

La vista del Bambino divino, la contemplazione di Dio fattosi uomo in Cristo Gesù, in cui l’immagine di Dio brilla in maniera insuperabile, ci può aiutare a far brillare anche in noi l’immagine che Dio ha sognato di noi.

Allora celebriamo veramente il Natale, allora Dio nasce in noi. Allora la nostra vita, finalmente, si rinnova, allora si manifestano anche in noi la bontà e l’umanità di Dio, nostro Salvatore.

23 Dicembre 2016

About Author

Gianni De Luca Nasce in Abruzzo, a Tagliacozzo in provincia dell'Aquila. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale, si trasferisce a Roma, dove, attualmente, vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio lavora due anni in Revisione e Certificazione dei bilanci prima di iniziare a collaborare con uno Studio associato di Dottori Commercialisti della Capitale. Decide, ad un certo punto, di seguire la nuova via che gli si è aperta e, così, consegue prima il Magistero in Scienze Religiose presso l'Istituto Mater Ecclesiae e, poi, la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Urbe "Angelicum". Attualmente lavora come Insegnante di Religione cattolica negli Istituti di Istruzione superiore di Roma. Appassionato di Sacra Scrittura, tiene conferenze, anima da circa 20 anni un incontro biblico, presso l'Istituto M. Zileri delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore in Roma, e da circa 10 la Lectio divina sulle letture della Domenica presso la Basilica parrocchiale di Sant'Andrea delle Fratte. Animatore del gruppo di preghiera "I 5 Sassi", è organizzatore di pellegrinaggi e ritiri spirituali.


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