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Letture e Commento alla II Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
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Letture e Commento alla II Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Lasciamoci provocare dall’Agnello

Is 49, 3.5-6; Sal 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1, 29-34

 Commento esegetico teologico

Chiuso il periodo natalizio con la commemorazione del Battesimo di Gesù, la settimana trascorsa fu la prima, per la Liturgia, del Tempo Ordinario, espressione più chiara che non tempo “tra l’anno” o “durante l’anno”. Il Tempo Ordinario è quello che corre fuori dei grandi Tempi liturgici: Avvento, Quaresima, Pasqua, Pentecoste.

Nelle domeniche del Tempo Ordinario la Liturgia della Parola presenta, attraverso parabole, discorsi o miracoli di Gesù, il suo insegnamento: è il tempo della catechesi ordinaria. Il centro è costituito dalla terza lettura, il Vangelo, cui si accorda la lettura dall’Antico Testamento. La seconda lettura invece presenta, per ordine, le Lettere paoline; quindi essa non si accorda, di norma, con il tema precedente. Va spiegata e meditata per se stessa, eventualmente riallacciando ogni brano con quello della domenica precedente.

La liturgia di questa domenica, che praticamente introduce nel Tempo Ordinario, ricapitola il mistero di Cristo, per mettere poi noi discepoli alla sua scuola, leggendo la presentazione di Cristo fatta dal Battista nella tradizione del quarto vangelo.

La 3° lettura odierna, il Vangelo presenta “Gesù, l’Agnello di Dio!”. Strana denominazione, che si carica di significato solo per chi conosce un po’ l’A.T. È noto infatti che il profeta Isaia, presentando il Messia come servo di Jahvè, lo descrive anche con la figura dell’agnello: “Maltrattato, si lasciò umiliare (…) era come un agnello condotto al macello” (53,7). Inoltre era vivo nel popolo ebreo il simbolismo dell’agnello pasquale immolato ogni anno a Pasqua in ricordo dell’agnello, il cui sangue aveva salvato gli ebrei dal massacro dei primogeniti in Egitto, come attesta il libro dell’Esodo al capitolo 12. Era dunque facile, tanto più dopo i fatti pasquali, presentare Gesù come l’Agnello di Dio. È spontanea l’applicazione fatta a noi, quella di cercare in Cristo il perdono dei nostri peccati. In ogni Messa è presente sull’altare l’Agnello che toglie i peccati del mondo.

La prima lettura è tratta dal testo di Isaia che parla del Servo di Jahvè, e quindi completa bene la precedente. Si dice anche che egli sarà “luce delle nazioni” per portare la salvezza fino ai confini della terra. È un tema di grande attualità: Cristo luce delle genti; è il problema dell’evangelizzazione del mondo. La salvezza portata da Cristo è oggi al centro di tante discussioni. Essa è e rimarrà sempre innanzitutto salvezza dalle tenebre e dall’ombra di morte; ciò non toglie che l’accettazione sincera del messaggio non porti anche a cercare una salvezza integrale di tutto l’uomo; è anche salvezza dalla schiavitù, dall’ingiustizia, dall’oppressione, dall’ignoranza ecc. La forza liberatrice di questo messaggio è profondamente sentita e vissuta da coloro che lo accettano e lo pongono a base della loro vita.

Molto bello e opportuno come preghiera il salmo responsoriale: il servo di Jahvè si presenta quale modello di chi vuole fare la volontà del Padre.

Nella seconda lettura abbiamo l’inizio della Lettera ai Corinti. Tra le molte sue ricchezze osserviamo queste: Paolo si dichiara “apostolo”, chiamato da Cristo e per volontà di Dio. È il titolo che egli difende quando è messo in dubbio, è la sua gloria, il suo impegno. I cristiani sono per lui, dei santificati in Cristo e chiamati a essere santi con tutti. Non una santità isolata, individualista, ma con i fratelli e nella Chiesa. Il saluto paolino abbraccia due auguri: la pace di Dio e la sua benevolenza, grazia e pace: la sintesi del saluto pagano e di quello cristiano.

 

Messaggio di questa Domenica

Domenica scorsa si chiudeva il Tempo di Natale e si apriva già il Tempo Ordinario tanto che in qualche modo, amplifica ed approfondisce quanto la Festa del Battesimo del Signore ci aveva già fatto cogliere.

L’oracolo di Isaia che oggi costituisce la prima lettura sfuma continuamente da Israele al Messia: il servo è Israele e lì si manifesterà la gloria del Signore, ma poi pare che il discorso si punti su un’individualità precisa che ha una missione verso Israele (ha il compito di restaurare le tribù di Giacobbe) e che ha una vocazione straordinaria: essere luce per tutte le genti. Il Signore ha detto: E’ troppo poco che tu sia mio servo … e, nel passo del Vangelo di Giovanni che oggi si proclama, il Battista testimonia sull’identità di Gesù giocando proprio sulla parola “servo” che in aramaico, la lingua parlata in Palestina ai tempi di Gesù, è “talja”; questa parola però significa anche “agnello”… è chiaro che l’Evangelista, scrivendo in greco, fa la scelta di far dire al Battista semplicemente “agnello”, ma certamente il gioco sottile c’è stato e mi pare molto significativo; insomma è come dire che è un servo, che è più di un servo, anzi proprio perché è Servo del Signore è agnello che prende su di sé il peccato del mondo.

È come se il Battista qui volesse comunicare che in Gesù c’è un’ulteriorità che va colta e da cui sempre si deve ripartire per altri orizzonti … il servo, l’agnello … il discepolo che, ritenuto solo un discepolo, ora precede e non segue più … Giovanni Battista confessa che Gesù, un suo discepolo, colui che mi veniva dietro, ora lo precede perché “era prima” … il Battista deve fare la fatica di lasciarsi sconvolgere da Gesù: era un suo discepolo e ora passa avanti … Giovanni deve confessare che non aveva capito ma che poi il Signore gli ha rivelato che proprio quel discepolo era l’Atteso …

Giovanni ora afferma che quel suo discepolo era il termine della sua azione e della sua profezia; il Battista confessa che il suo battesimo non conduceva a sé ma a Gesù: Sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse rivelato ad Israele.

Giovanni testimonia che ha visto lo Spirito aleggiare su di Lui e non solo: ha visto che lo Spirito rimaneva su di Lui. E qui compare per la prima volta nel Quarto Vangelo questo verbo chiave di tutta la teologia giovannea: rimaneredimorare, in greco mènein. La testimonianza del Battista è chiara: poiché Gesù è colui su cui lo Spirito dimora, Gesù è colui che immerge davvero, non in acqua ma nello Spirito stesso. E la testimonianza del Battista giunge ad un culmine: è il Figlio di Dio!

ServoAgnellodiscepolo passato avantiColui che era “prima”Colui che deve essere rivelato ad Israeledimora dello SpiritoBattezzatore “nello” SpiritoFiglio di Dio … una serie impressionante di “titoli” di Gesù con cui il Vangelo di oggi ci chiede di lasciarci provocare sempre dall’ulteriore che è in Gesù, che è Gesù. Un’ulteriorità che non è solo teologica perché è facile “fare teologia” ed anche magari “bella” teologia, l’ulteriorità di Gesù provoca all’“oltre” la nostra stessa vita, la concreta esistenza di ogni giorno con le sue scelte e le sue decisioni. Un’ ulteriorità che si scopre nell’ assiduità con Lui … una vera assiduità con Cristo, con la sua Parolacon la sua presenza viva nella vita della Comunità dei credenti provoca ad una vita che non si accontenta e punta verso il Vangelo! E il Vangelo non è mai a “bassa quota”!

L’assiduità con Gesù fa essere l’uomo un assetato di umanità, di libertà … un assetato di Dio. Essere di Cristo apre l’uomo ad una vocazione straordinaria, quella che Paolo proclama ai cristiani di Corinto nell’ “incipit” della sua Prima lettera a quella Chiesa e che oggi abbiamo come seconda lettura; i cristiani sono quelli che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo.

Leggendo bene questo saluto di Paolo capiamo come l’essere di Cristo non sia stabilità, tranquillità, un ristagno magari beato, ma sia essere in fermento: c’è un dono, siamo stati santificati, e c’è un ulteriore, una santità che ancora deve essere accolta pienamente per rispondere davvero alla propria chiamata, chiamati ad essere santi) … insomma Gesù ci mette in una dinamica in cui la sazietà è esclusa perché la sazietà è sempre stabilità che mal si concilia con il Vangelo e le sue esigenze.

Conoscere Gesù e decidere di essere assidui con Lui è giungere a quella meta che il Quarto Vangelo pone come statuto del discepolo: “rimanere” in Lui, “dimorare” in Lui! Questo “rimanere” potrebbe sembrare una parola statica, potrebbe sembrare un suggerimento a fuggire da ciò che stanca e mette in movimento … In realtà chi dimora in Gesù va dove va Lui, si muove nella direzione che Lui prende, sale con Lui sulla croce, passa beneficando e risanando tutti, come dice il libro degli Atti degli Apostoli al capitolo 10, siede come Lui a mensa con i peccatori, come Lui si fa carico dei feriti e umiliati nella storia; chi dimora in Gesù non può fare altro che amare fino all’estremo mettendo nelle sue mani il proprio peccato e la continua tentazione di salvare se stesso.

Dopo aver celebrato l’Incarnazione puntiamo i nostri desideri più profondi verso questa vera assiduità con Cristo Gesù con la piena disponibilità a lasciarsi inquietare dalla sua ulteriorità accogliendo le sfide del Vangelo … quelle sfide ci chiedono le alte quote.  

Per la vita:

Con la festa del Battesimo del Signore, celebrata domenica scorsa, siamo entrati nel tempo liturgico chiamato “ordinario”. In questa seconda domenica, il Vangelo ci presenta la scena dell’incontro tra Gesù e Giovanni Battista, presso il fiume Giordano. Chi la racconta è il testimone oculare, Giovanni Evangelista, che prima di essere discepolo di Gesù era discepolo del Battista, insieme col fratello Giacomo, con Simone e Andrea, tutti della Galilea, tutti pescatori. Il Battista dunque vede Gesù che avanza tra la folla e, ispirato dall’alto, riconosce in Lui l’inviato di Dio, per questo lo indica con queste parole: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29).

Il verbo che viene tradotto con “toglie” significa letteralmente “sollevare”, “prendere su di sé”. Gesù è venuto nel mondo con una missione precisa: liberarlo dalla schiavitù del peccato, caricandosi le colpe dell’umanità. In che modo? Amando. Non c’è altro modo di vincere il male e il peccato se non con l’amore che spinge al dono della propria vita per gli altri. Nella testimonianza di Giovanni Battista, Gesù ha i tratti del Servo del Signore, che «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4), fino a morire sulla croce. Egli è il vero agnello pasquale, che si immerge nel fiume del nostro peccato, per purificarci.

Il Battista vede dinanzi a sé un uomo che si mette in fila con i peccatori per farsi battezzare, pur non avendone bisogno. Un uomo che Dio ha mandato nel mondo come agnello immolato. Nel Nuovo Testamento il termine “agnello” ricorre più volte e sempre in riferimento a Gesù. Questa immagine dell’agnello potrebbe stupire; infatti, un animale che non si caratterizza certo per forza e robustezza si carica sulle proprie spalle un peso così opprimente. La massa enorme del male viene tolta e portata via da una creatura debole e fragile, simbolo di obbedienza, docilità e di amore indifeso, che arriva fino al sacrificio di sé. L’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello.

Che cosa significa per la Chiesa, per noi, oggi, essere discepoli di Gesù Agnello di Dio? Significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. È un buon lavoro! Noi cristiani dobbiamo fare questo: mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. Essere discepoli dell’Agnello significa non vivere come una “cittadella assediata”, ma come una città posta sul monte, aperta, accogliente, solidale. Vuol dire non assumere atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi.

PAPA FRANCESCO, ANGELUS, Piazza San Pietro, Domenica, 19 gennaio 2014

 

 

13 Gennaio 2017

About Author

Gianni De Luca Nasce in Abruzzo, a Tagliacozzo in provincia dell'Aquila. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale, si trasferisce a Roma, dove, attualmente, vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio lavora due anni in Revisione e Certificazione dei bilanci prima di iniziare a collaborare con uno Studio associato di Dottori Commercialisti della Capitale. Decide, ad un certo punto, di seguire la nuova via che gli si è aperta e, così, consegue prima il Magistero in Scienze Religiose presso l'Istituto Mater Ecclesiae e, poi, la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Urbe "Angelicum". Attualmente lavora come Insegnante di Religione cattolica negli Istituti di Istruzione superiore di Roma. Appassionato di Sacra Scrittura, tiene conferenze, anima da circa 20 anni un incontro biblico, presso l'Istituto M. Zileri delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore in Roma, e da circa 10 la Lectio divina sulle letture della Domenica presso la Basilica parrocchiale di Sant'Andrea delle Fratte. Animatore del gruppo di preghiera "I 5 Sassi", è organizzatore di pellegrinaggi e ritiri spirituali.


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