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Cosa celebriamo la Domenica? Il Rito della Messa – parte prima
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Cosa celebriamo la Domenica? Il Rito della Messa – parte prima

  1. LA PROCESSIONE E IL CANTO D’INGRESSO

La messa comincia con una processione d’ingresso accompagnata da un canto.

LA PROCESSIONE D’INGRESSO

Che sia solenne, risalendo dal fondo della Chiesa con dei ministranti che portano la croce, l’incenso e le candele, oppure che sia molto sobria, la processione d’ingresso ha un significato magnifico: l’assemblea accoglie il Cristo stesso, rappresentato dal celebrante.

Per sottolineare l’importanza di ciò che si sta vivendo, essa si alza e canta. Ritorneremo sul prossimo capitolo su questa processione, così come sulle vesti e sui colori liturgici.

Soffermiamoci ora sull’«azione» dell’assemblea durante questa processione: essa canta.

IL CANTO D’INGRESSO

Il canto d’ingresso ha una triplice funzione.

  1. Permettere di entrare nella preghiera e di manifestare l’unione dell’assemblea.
  2. «Dà colore» a ciò che stiamo per vivere, ci introduce nel tempo liturgico, nella festa del giorno o nel tema delle letture bibliche.
  3. Più profondamente ancora, mette in risalto la gioia della chiesa, sposa, che accoglie il suo sposo, il Cristo.

  1. Il canto d’ingresso concretizza l’unione dell’assemblea

Ci siamo riuniti in Chiesa per partecipare alla messa. Entrando, abbiamo forse potuto accoglierci gli uni gli altri, salutarci, perfino scambiarci qualche notizia. Bisogna ancora che l’assemblea che noi formiamo adesso «prenda corpo». È questo il compito del canto d’ingresso. Anche se non siamo dei virtuosi, potremo unire le nostre voci, questo strumento che noi tutti abbiamo ricevuto. Il canto d’ingresso è un atto liturgico al quale ciascuno si associa per formare l’assemblea eucaristica. Veniamo da orizzonti differenti, ed ecco che cantiamo insieme le stesse parole sulle medesime note e allo stesso ritmo. Non è un simbolo della nostra riunione comunitaria?

  1. Il canto d’ingresso dà colore al giorno

Il canto ci introduce alla specificità di ciò che celebriamo. Sarà scelto in funzione della festa celebrata, del tempo liturgico (i tempi liturgici ci permettono di prepararci alle grandi feste di Natale e di Pasqua, e poi di viverne la gioia profonda nei giorni seguenti. Così, l’anno liturgico comincia con l’Avvento (da tre o quattro settimane prima di Natale), seguito dal tempo di Natale (fino alla festa del Battesimo di Gesù, la seconda domenica di gennaio). Prima di Pasqua, viviamo la Quaresima (dal mercoledì delle Ceneri al sabato santo) seguita dal tempo pasquale (fino alla Pentecoste). Al di fuori di questi quattro periodi, siamo nel tempo ordinario) o ancora del tema delle letture bibliche del giorno. Il canto d’ingresso ci prepara così a ciò che stiamo per celebrare, e alle letture che stiamo per ascoltare, e ce ne dà il significato profondo. Quando non c’è il canto d’ingresso, il sacerdote può leggere l’antifona d’ingresso che è, assai spesso, un versetto di un salmo o un’acclamazione in relazione con la festa del giorno.

  1. Il canto d’ingresso è l’esultanza della sposa che accoglie il suo sposo

Il canto accompagna la processione che, come abbiamo appena visto, non è un momento banale, «funzionale». È la Chiesa locale, la sposa, che accoglie il suo sposo, il Signore, rappresentato dal celebrante. Il suo ingresso nel santuario significa simbolicamente il ritorno di Cristo stesso.

UN CANTO CHE NON RAGGIUNGE SEMPRE IL SUO SCOPO

A partire da questi aspetti importanti, possiamo osservare ciò che viviamo e constatare che il canto d’ingresso non sempre raggiunge il suo scopo….

  1. Se è cantato dalla sola corale e l’assemblea lo ascolta passivamente, non concretizza l’unione dell’assemblea. La corale non deve eseguire tutti i canti (alcune parti «appartengono» all’assemblea e non le possono essere tolte). Non si tratta di opporre il canto della corale e quello dell’assemblea, ma di ritrovare un equilibrio nel quale ciascuno abbia il suo posto. Là dove «fa tutto» la corale, l’assemblea diventa passiva e finisce con il non cantare più!
  2. Se è scelto troppo velocemente senza tener conto di ciò che celebriamo, non introduce correttamente alla specificità del giorno.
  3. Se è intonato, per mancanza di un animatore liturgico, dal sacerdote che presiede, e che non può quindi nello stesso tempo far cantare ed entrare nel nome di Cristo, non manifesta pienamente l’esultanza della sposa che accoglie il suo sposo.

Il canto dell’assemblea:

Poiché la liturgia è l’azione di tutta la comunità, il canto principale, in ogni celebrazione, è quello dell’assemblea. Così, tutti i membri di una comunità si esprimono con le stesse parole. E questo diviene il segno più evidente dell’unanimità dei cuori che si esprimono.

Il canto della corale:

La corale ha sicuramente un posto importante nella liturgia. Essa apporta un sostegno essenziale all’assemblea trascinandola e permettendole di apprendere nuovi canti e di variare il repertorio. In certi momenti della liturgia (offertorio, comunione, strofe di un salmo), essa interpreta da sola un canto più complesso, in polifonia. L’unione delle differenti voci è un segno molto bello dell’armonia, dell’unità nella diversità, di un’unanimità nella quale ciascuno è riconosciuto e apprezzato per il suo carattere proprio e che si raduna per formare un insieme melodioso. Tuttavia, la corale deve sempre ricordarsi che non è lì per eseguire un concerto, e che essa rimane, come tutti gli altri attori, sacerdote compreso, al servizio della liturgia, e al servizio del canto dell’assemblea.

Le cause di un disequilibrio:

Storicamente, schematizzando un po’, siamo passati, nel corso della storia della chiesa, da un canto comunitario, derivato dalle liturgie ebraiche, a un canto di tipo monastico, e poi, nel secondo millennio, a un canto polifonico che è diventato sempre più complesso. La liturgia è diventata il luogo in cui si eseguono delle belle opere musicali. Questo sviluppo ha permesso di generare magnifici capolavori. Ma questo progresso di un canto liturgico colto ha provocato molto presto il declino della partecipazione del popolo, ciò che è assai dannoso a livello liturgico, poiché il popolo si trova così privato del suo ruolo attivo nelle celebrazioni. La riforma liturgica del Vaticano II ha voluto riequilibrare questi valori ridando vita alle celebrazioni del popolo. Questo ritorno alle fonti della liturgia cantata è una nuova sfida che si apre davanti a noi. Che differenza, in effetti, tra una liturgia nella quale si sente un’assemblea che partecipa e che canta, e alcune messe domenicali nelle quali l’assemblea sta in fondo alla chiesa, con le braccia conserte e soprattutto con la bocca chiusa, che sembra attendere che la corale abbia finito l’esecuzione del suo pezzo…. Molto opportunamente la riforma liturgica prevede per le corali una collocazione sul lato del coro. Si tratta insomma di ritrovare un saggio equilibrio che permetta a ciascuno di trovare il suo posto nella liturgia. Come il sacerdote prega a nome di tutti utilizzando il «noi», così l’assemblea può unirsi alla strofa di un canto o al mottetto che canta la corale o il salmista.

Gli animatori liturgici:

In liturgia, non è desiderabile che una sola persona faccia tutto. La presenza di un animatore liturgico o di una animatrice liturgica permette di meglio ripartire i ruoli nella liturgia e di guadagnarne in qualità.

GLI STRUMENTI MUSICALI

Nella liturgia, beneficiamo anche dell’accompagnamento degli strumenti musicali. Questi non sostituiscono la voce umana che resta principale. Così, le chiese d’Oriente non ammettono gli strumenti musicali nelle celebrazioni, poiché non possono trasmettere la Parola. Nelle chiese della Riforma, si è a lungo esitato a utilizzare l’organo nel culto, a causa di una certa sobrietà. Esso ha tuttavia acquistato a poco a poco un posto importante nella liturgia, prima per sostenere la voce dell’assemblea, poi anche per creare degli spazi di meditazione. La Chiesa romana si è molto evoluta, nel corso dei secoli, sulla questione della musica strumentale. Quando si fu totalmente liberato della sua connotazione profana originaria, l’organo acquisì diritto di cittadinanza nelle chiese, e anche durante lunghi periodi, l’esclusività. Oggi gli strumenti a corda, gli strumenti a fiato e le percussioni sono ammessi, anche se l’organo a canne conserva il primo posto.

Ricapitolando:

Il canto d’ingresso ha una triplice funzione:

  1. Permette di costituire visibilmente l’assemblea che canta insieme con un solo cuore,

 «con una voce sola».

  1. «Dà colore» a ciò che stiamo per vivere, ci introduce nel tempo liturgico, nella festa del giorno o nel tema delle letture bibliche.
  2. Più profondamente ancora, mette in risalto la gioia della chiesa, sposa, che accoglie il suo sposo, il Cristo, rappresentato dal sacerdote.

  1. LE VESTI LITURGICHE E I COLORI LITURGICI

La liturgia non è un atto ordinario; essa richiede l’uso di vesti capaci di mostrare a tutti l’importanza dei gesti “divini” che saranno compiuti. Presentiamo allora questi differenti “attori” della liturgia considerando il significato delle vesti che indossano.

I MINISTRANTI

I ministranti (da noi si usa chiamarli anche chierichetti) esercitano differenti funzioni. Eccole nel loro ordine di arrivo nella processione d’ingresso.

  1. La processione si apre con il turiferario (nome che arriva dal latino e significa: colui che porta l’incenso che è contenuto in una navicella). Il fuoco è invece contenuto (sotto forma di carboncini) in un turibolo (vaso di metallo con tre catenelle). Perché l’incenso? Perché l’incenso profuma il cammino e simbolizza la nostra preghiera che si eleva al Signore.
  2. Subito dietro sta il crocifero (portatore della croce), segno che Gesù ci apre il cammino e ci invita a seguirlo.
  3. La croce è attorniata dalle candele accese: la luce ci guida sul cammino.
  4. Seguono gli altri ministranti, che possiamo chiamare anche accoliti, i quali eserciteranno diverse funzioni, in modo particolare quella di portare le offerte all’altare.
  5. Vengono quindi i ministri ordinati: diaconi, presbiteri (parola che deriva dal greco e vuol dire anziano, ma non si riferisce all’età, ma al fatto che un anziano ha (…..aveva) autorità; noi siamo soliti dire invece di presbitero: sacerdote) e vescovi (parola che deriva dal greco e significa “guardiano”).

 L’alba (o camice)

I ministranti, così come i ministri ordinati, sono tutti rivestiti da un’alba (da alba, “veste bianca”). L’alba (ma da noi questa parola si usa poco, si usa dire più comunemente: il camice) è il segno della resurrezione, della vita nuova che ci viene da Cristo! nei Vangeli, gli angeli della resurrezione apparvero in vesti bianche (o abbaglianti), per l’appunto “in alba”. Nell’Apocalisse, il Cristo promette ai fedeli che condivideranno la sua vittoria di essere vestiti di bianco: “essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni. Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita” (3,4-5). Più avanti, viene spiegato a Giovanni che queste persone vestite di bianco “sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (7,14).

La veste bianca, l’alba o il camice, è dunque dei battezzati. È per questo motivo che i bambini sono rivestiti di una veste bianca al loro battesimo.

 LE VESTI LITURGICHE DEI MINISTRI ORDINATI

Abitualmente, nelle nostre chiese, è un presbitero (anche a proposito di questo termine occorre dire che nel linguaggio comune si usa poco, più usato è invece: sacerdote) quello che vediamo celebrare la messa. Ma prima di essere ordinato presbitero, egli ha ricevuto l’ordinazione diaconale. Anche alcuni uomini sposati sono ordinati diaconi, senza diventare poi sacerdoti; essi sono chiamati “diaconi permanenti”. Tra i ministri ordinati, ci sono dunque diaconi, presbiteri e vescovi. Come riconoscerli? È molto semplice: il diacono porta, sul camice (o alba), la stola in diagonale ed eventualmente la dalmatica; il presbitero è rivestito della stola e della pianeta; il vescovo ha il capo coperto da una mitra, tiene un pastorale e porta un anello alla mano destra. Dalmatica, pianeta, mitra: ecco dei termini che sembrano davvero strani. Proviamo a spiegarli. Una volta che ha rivestito il camice, il ministro indossa la stola (ha la forma di una sciarpa) sulle due spalle, in segno del potere sacerdotale che è stato loro conferito. Il diacono la porta a tracolla sulla spalla sinistra. Senza entrare nei dettagli, ecco la specificità dei ministri ordinati:

Il Vescovo è il pastore di una diocesi, cioè un territorio che forma una “Chiesa locale”. Egli riceve il triplice ufficio di governare, di insegnare e di celebrare. I vescovi sono i successori degli apostoli, in comunione gli uni con gli altri e più particolarmente con il vescovo di Roma, il Papa, successore di S. Pietro, che presiede all’unità. Poiché il vescovo non può adempiere da solo il compito pastorale nella sua diocesi, egli si circonda di collaboratori, i presbiteri, che egli ordina per celebrare la messa e altri sacramenti. Affida loro una piccola parte della sua diocesi, una parrocchia, un settore di parrocchie o un’altra missione come, ad es., l’animazione della pastorale dei giovani (da noi di solito chiamato “curato”= colui che si prende cura) o la cappellania di un ospedale, o altro.

I diaconi, il cui nome significa “servitore”, sono configurati a Cristo Servo. Essi si mettono più particolarmente al servizio dei più poveri e di coloro che sono lontani dalla chiesa. Nella liturgia, essi assistono il vescovo o il presbitero e proclamano il Vangelo. Conferiscono i sacramenti del battesimo e del matrimonio, ma non possono celebrare la messa né dare l’assoluzione.

Il Vescovo o il presbitero indossa poi la pianeta (o casula), una veste ampia (può sembrare un mantello) che si infila dalla testa. La parola viene da “casa”. In effetti, la casula, che avvolge completamente colui che la indossa, evocava una casetta (casula) o una tenda. Il presbitero la riceve nel corso della sua ordinazione sacerdotale, dopo l’unzione delle mani, per significare che egli è rivestito di Cristo. questo è proprio il senso profondo della casula: il presbitero “riveste” il Cristo in nome del quale agirà. Al posto della pianeta, il diacono può rivestire la dalmatica. Veste originaria della Dalmazia (oggi in Croazia), questa veste romana è diventata la veste propria dei diaconi. È una specie di casula più corta, con delle maniche. Quanto al vescovo, egli porta sulla testa uno zucchetto (copricapo a forma circolare, segno di autorità. È di colore viola, mentre per i cardinali è rosso) e una mitra (niente di…..pericoloso….mitra deriva dal greco e significa diadema). La mitra era portata dai sacerdoti dell’AT. Nell’uso cristiano, questo copricapo sacerdotale fu adottato e riservato ai vescovi e agli abati dei monasteri. Essa si accompagna al pastorale, il bastone del pastore, simbolo eloquente dell’autorità del “pastore”. Già che ci siamo, accenno anche a qualche altro “elemento” dell’abbigliamento del sacerdote. L’amitto: è una specie di grande fazzoletto che il sacerdote si mette sulle spalle e attorno al collo prima di mettere il camice. Il cingolo: oltre ad una intuibile funzione pratica, è segno di purezza.

  1. I COLORI LITURGICI

Un po’ come il colore degli alberi che cambia secondo la stagione, i colori liturgici segnano i tempi dell’anno liturgico. Essi segnalano anche le feste che viviamo. Cominciamo con il bianco che è, come abbiamo visto, il colore della resurrezione. Lo si usa quindi a Pasqua e nel tempo pasquale. Colore della festa, si utilizza anche a Natale e nel tempo natalizio, così come in tutte le feste della Vergine Maria, degli Angeli e dei Santi che non sono martiri. Il bianco evoca la purezza, ma più ancora la gloria divina e lo splendore di tutto ciò che tocca Dio. Da notare che si può utilizzare l’oro per le grandi feste, che si chiamano solennità, e l’azzurro per le feste della Vergine Maria.

Il rosso evoca il sangue e il fuoco dello Spirito Santo. Colore del sangue, è utilizzato per la domenica della Passione (delle Palme), il venerdi santo e la croce gloriosa, come pure per le feste di tutti i santi che hanno versato il loro sangue nel martirio. Colore dello Spirito Santo, lo si porta alla Pentecoste e alle confermazioni. Il rosso è dunque legato alla testimonianza suprema dell’amore, che è il dono del sangue, e al culto di colui che è l’Amore.

Il viola è il colore dell’implorazione. Lo si utilizza per i Tempi dell’Avvento e della Quaresima, come pure per le celebrazioni penitenziali, il sacramento della riconciliazione, l’unzione degli infermi e per gli uffici dei defunti.

Due volte all’anno, si può utilizzare il rosa: la terza domenica dell’Avvento, denominata Gaudete, “Rallegratevi”, e la quarta domenica di Quaresima, denominata Laetare, “Siate nella gioia”. A metà di questi due tempi di penitenza, la Chiesafa pausa per intravedere la gioia del Natale o della Pasqua che prepara e attende. In queste due domeniche, il viola si mescola col bianco per dare così il rosa.

Il verde infine è il colore liturgico del tempo ordinario; lo si porta quando non vi è alcun’altra festa o tempo speciale. Il colore verde evoca la crescita della chiesa, grazie alla linfa vitale donata da Dio.

Un tempo si usava anche il nero per i defunti (il nero è il colore del lutto). Oggi normalmente si usa il colore viola.

19 Gennaio 2017

About Author

Gianni De Luca Nasce in Abruzzo, a Tagliacozzo in provincia dell'Aquila. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale, si trasferisce a Roma, dove, attualmente, vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio lavora due anni in Revisione e Certificazione dei bilanci prima di iniziare a collaborare con uno Studio associato di Dottori Commercialisti della Capitale. Decide, ad un certo punto, di seguire la nuova via che gli si è aperta e, così, consegue prima il Magistero in Scienze Religiose presso l'Istituto Mater Ecclesiae e, poi, la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Urbe "Angelicum". Attualmente lavora come Insegnante di Religione cattolica negli Istituti di Istruzione superiore di Roma. Appassionato di Sacra Scrittura, tiene conferenze, anima da circa 20 anni un incontro biblico, presso l'Istituto M. Zileri delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore in Roma, e da circa 10 la Lectio divina sulle letture della Domenica presso la Basilica parrocchiale di Sant'Andrea delle Fratte. Animatore del gruppo di preghiera "I 5 Sassi", è organizzatore di pellegrinaggi e ritiri spirituali.


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