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Cosa celebriamo la Domenica? Il Rito della Messa – parte seconda
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Cosa celebriamo la Domenica? Il Rito della Messa – parte seconda

  1. IL RUOLO CENTRALE DELL’ALTARE

La meta della processione d’ingresso è l’altare, la mensa sulla quale sarà celebrata la messa. Avete notato che la prima azione del celebrante è baciare l’altare. Lo incenserà anche. Questi gesti rimangono del tutto incomprensibili – arrivate forse a baciare la vostra tavola prima di mangiare? – se non si capisce il significato dell’altare. Proviamo allora a spiegare.

L’altare

Altare traduce il latino altare che deriva da altus, “elevato”. Perché elevato? Perché nelle differenti religioni, l’altare rappresenta il luogo alto che serve da congiunzione tra la divinità e gli uomini. L’altare è una pietra o una tavola che si costruisce spesso su un luogo elevato sulla quale si offre cibo agli dei. Poste sull’altare, le offerte passano nella sfera del sacro. Nell’AT, questa tavola non è dunque accessibile a tutti: i sacerdoti soltanto, generalmente, possono avvicinarsi. Dopo l’offerta, una parte del cibo è restituita ai sacerdoti e ai fedeli: è un cibo sacro che essi ricevono da Dio e che li fa comunione con Lui. I cristiani hanno conservato questo simbolismo forte dell’altare. L’altare è un punto di riferimento per il fedele: sopra di esso viene ricordata l’offerta del Figlio unigenito; sopra di esso è distribuito il cibo dell’eternità. L’altare è davvero il luogo per eccellenza nel quale Dio e l’uomo si incontrano e si uniscono, il luogo nel quale Dio va verso l’uomo e l’uomo va verso Dio. Luogo del sacrificio, l’altare è anche il luogo del pasto. È la mensa nella quale i figli di Dio vengono per mangiare e per bere.

L’altare è il Cristo

Nella nuova alleanza, l’altare acquisterà una dimensione nuova, che va ben al di là di tutti i simboli evocati: esso sarà identificato con il Cristo stesso. Nel quinto prefazio del tempo pasquale, leggiamo: “Offrendo il suo corpo sulla croce, diede compimento ai sacrifici antichi, e donandosi per la nostra redenzione, divenne altare, vittima e sacerdote”. Comprendiamo bene che Cristo sia il sacerdote: è lui che officia e che pronuncia le parole del sacrificio: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Riusciamo a capire che Egli sia anche la vittima: è proprio Lui che si offre sulla croce. Ma come può essere anche l’altare? Ecco due spiegazioni che si completano tra loro:

  1. Abbiamo visto che l’altare è il luogo di congiunzione tra Dio e l’uomo, il luogo in cui si realizza la comunione, il luogo dell’alleanza. Possiamo dire che il Cristo adempie in pienezza questa comunione nel suo corpo. in effetti, nel suo corpo, Dio e l’uomo non formano che una cosa sola, poiché il Cristo è veramente Dio e veramente uomo. Di più, dando la sua vita, è tutta la nostra umanità che Gesù offre a Dio con una offerta perfetta. In cambio riceviamo il suo corpo e il suo sangue come nutrimento divino. Il corpo di Cristo è dunque il “luogo” stesso della comunione perfetta tra Dio e l’uomo, il “luogo” nel quale noi ci offriamo a Dio, e il “luogo” nel quale noi lo riceviamo; è dunque il vero “altare”.
  2. Il Cristo si presenta Egli stesso come la pietra angolare: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi” (Mt 21,42). San Paolo riprenderà questa immagine affermando che Gesù è la “Pietra angolare” sulla quale tutto riposa: “Voi siete edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2,20).

L’altare è proprio la “pietra centrale” che rappresenta il Cristo stesso. È dunque “il mobile” più importante della chiesa. Nella liturgia, è opportuno che sia collegato nel posto migliore, perché tutto vi si organizzerà intorno. Occorre che tutti lo vedano. Per riprendere il simbolismo di Cristo, pietra angolare, l’altare è fatto solitamente in pietra, oppure contiene una pietra. La sua forma rettangolare è quella di una tomba, che ricorda la tomba vuota del mattino di Pasqua per evocare la resurrezione.

Il bacio dell’altare

Comprendiamo meglio ora perché l’altare è oggetto di una così grande venerazione. Del resto, durante la messa, non ci si inchina più davanti al tabernacolo bensì davanti all’altare, segno di Cristo che si offre a noi. I ministri ordinati lo baceranno anche all’inizio e alla fine della messa. Per afferrare ancora meglio il significato e l’importanza dell’altare, possiamo accennare brevemente alla sua consacrazione che è il rito principale della “dedicazione” (inaugurazione) delle chiese. Questo rito è impressionante: il vescovo si toglie la sua casula e indossa un grembiale. Dopo avere fatto le unzioni sulle cinque croci (una al centro e le altre ai quattro angoli), egli spalma e friziona tutto l’altare con il sacro crisma.

−  L’unzione con il santo crisma fa di questa pietra il simbolo di Cristo che il Padre ha unto di Spirito Santo.

−  L’incenso che si fa bruciare sull’altare simbolizza il sacrificio di Cristo che si è offerto al Padre suo in odore di santità, e anche le preghiere dei fedeli che salgono verso il Signore.

−  Le tovaglie poste sull’altare manifestano che esso è la tavola del pasto eucaristico, dove Dio e l’uomo comunicano non più nel sangue di vittime animali, ma nel sangue di Cristo, morto e risorto.

−  Lo splendore delle candele, che circondano l’altare, evoca il Cristo “Luce delle nazioni” (Lc 2,32)

−  Sotto la tavola dell’altare, noi poniamo delle reliquie di santi per manifestare la nostra unione con tutti quelli e tutte quelle che ci hanno preceduto.

Qual è il significato di questo bacio? Esso è un gesto di venerazione, di tenerezza rispettosa nei confronti del simbolo consacrato della presenza di Dio, di Cristo e della Chiesa del cielo (in ragione delle reliquie dei santi sigillate nell’altare). Il presbiterio e il diacono esprimono così la loro comunione con tutto il mistero di Dio, rivelato e realizzato una volta per tutte nel sacrificio di Cristo; il loro bacio simbolizza la loro adesione a tutto ciò che sta per essere attualizzato sull’altare.

L’incenso dell’altare

Poi, almeno nelle grandi feste, il celebrante incensa l’altare. Questa prima incensazione costituisce un gesto di venerazione dell’altare, rivolto a Cristo, nostra “Roccia”. L’incenso ricorda il “nembo” che riempì il santuario, quando Salomone consacrò il primo tempio. L’incenso fa anche una diretta allusione a un versetto di un salmo: “Come incenso salga a te la mia preghiera” (Salmo 140). L’incenso è una resina aromatica che brucia sprigionando un fumo odorifero. La Chiesa offre a Dio l’incenso per significare concretamente la sua adorazione e la sua preghiera.

Questo fu il gesto dei Magi, che si sono prosternati davanti al Bambino Gesù e gli hanno offerto oro, incenso e mirra. (cf Mt 2,11). L’altare non è la sola cosa ad essere incensata. Tutto ciò che, in un modo o nell’altro, tocca Dio o è toccato da Lui riceve l’omaggio dell’incenso: la Croce, il libro dei Vangeli, le offerte, il sacerdote stesso e i fedeli.

Ricapitolando:

L’altare è la suppellettile più importante della chiesa, perché è il segno di Cristo stesso. In effetti, il Cristo non è solamente il sacerdote e la vittima del sacrificio, ma è anche l’altare perché nel suo corpo offerto si uniscono nella maniera più perfetta Dio e l’uomo: il Cristo offre la nostra umanità a Dio e ci dà il suo corpo come nutrimento divino. Di più, il Cristo si presenta egli stesso come la pietra angolare, la pietra centrale sulla quale tutto si costruisce. Ecco perché l’altare è venerato in una maniera del tutto particolare: i membri della processione si inchinano davanti a esso, i ministri ordinati lo baciano, e colui che presiede la liturgia lo incensa. Quando vediamo il sacerdote baciare l’altare e incensarlo, perché non unirci a lui, nel nostro cuore? Veneriamo, anche noi, il Cristo. e prima che la messa incominci, possiamo fissare il nostro sguardo sull’altare e pensare a tutto ciò che esso rappresenta!

  1. IL SEGNO DELLA CROCE

Il nostro primo gesto, all’inizio della messa, è quello di tracciare su di noi il segno della croce. Questo gesto antichissimo è il segno per eccellenza dei cristiani. Perché? Perché ci collega allo strumento stesso della nostra salvezza: è per mezzo della croce che noi siamo salvati. La croce, è il cuore stesso del cristianesimo: nessun’altra religione avrebbe potuto “inventare” un Dio così “folle” da accettare di morire così….. Ma il più orribile degli strumenti di supplizio è diventato per noi ciò che c’è di più prezioso: il segno dell’amore di Dio che si offre fino in fondo per salvarci. Il giorno del nostro battesimo, il sacerdote ha tracciato una croce sulla nostra fronte dicendo: “La comunità cristiana ti accoglie con gioia; nel suo nome, io ti segno con il segno della croce”.

Un segno della nostra adesione

Fare su di noi il segno della croce significa mostrare molto concretamente che aderiamo al Cristo che ci salva con la croce, e che vogliamo offrirci insieme a lui. Non è dunque un gesto banale. Talvolta, purtroppo, vediamo delle persone che fanno un gesto vago scuotendo la mano come se avessero una mosca sul naso….

Dobbiamo al contrario farlo degnamente, con bellezza e ampiezza. Il segno della croce è uno strumento pedagogico straordinario che la Chiesa ci dà.

Un anziano prete, che aveva attraversato dei momenti difficili per la Chiesa ed era rimasto fedele nonostante tutto, diceva: “per anni non ho potuto pregare, neppure quando dicevo messa. Invece, ho sempre fatto ciò che mi ha insegnato mia madre: tutte le mattine, quando la sveglia suonava, qualunque ora fosse, ho fatto un segno di croce; ed è questo che mi ha salvato”.

Il segno della croce incomincia dalla testa, dall’intelligenza che noi chiediamo al Padre di purificare, e di benedire. La mano scende al nostro cuore dove chiediamo al Cristo di stringerci, di non lasciarci mai. E la mano risale alle nostre due spalle perché lo Spirito Santo abbracci tutto il nostro corpo e ci dia la forza.

Un segno che ci introduce nella celebrazione

Il segno della croce è il primo gesto della liturgia. Esso “pone” l’insieme della celebrazione nella luce della croce e della resurrezione; questi due misteri sono inseparabili. Ci introduce in ciò che stiamo per vivere: in ogni messa, noi siamo ai piedi della croce. Scrive Monsignor Bernard Genoud: “Supponiamo di sapere che all’altro capo del mondo il figlio di Dio sta per dare la sua vita, e che tutti quelli che assisteranno alla sua morte avranno la certezza di essere salvati. Non saremmo tutti pronti a rompere il nostro salvadanaio, per essere tra quelli, per partecipare a questo grande avvenimento ed essere salvati a colpo sicuro? Ebbene, questo è ciò che accade in ogni messa! E noi, noi facciamo ancora i “difficili” per andarvi!”

Come è possibile ciò? Molto semplicemente perché la messa ci permette di rivivere il dono di Gesù sulla croce. Intendiamoci bene: la Passione di Cristo è un avvenimento unico che ha avuto luogo una volta sola per tutti i tempi. Ma, in previsione delle generazioni future, e perché anch’esse fossero “toccate” da questo avvenimento di salvezza, il Cristo ha istituito la sua presenza ed il sacrificio che si sarebbe compiuto sotto le apparenze del pane e del vino.

Così, ci è dato di riviverlo ogni volta che un sacerdote prende il pane e il vino e pronuncia le parole rituali: “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Ad ogni messa ci troviamo ai piedi della croce con Maria e Giovanni, perché riviviamo il sacrificio unico di Cristo. La croce posta sull’altare è lì proprio per ricordarcelo. Ma ricordiamoci che c’erano due modi di stare ai piedi della croce.

Il primo è quello della maggior parte dei contemporanei di Cristo: erano là fisicamente ma con indifferenza, per semplice curiosità, amici o nemici di Cristo mescolati fra loro.

Il secondo modo è quello di Maria e di Giovanni: stavano ai piedi della croce non solamente con il loro corpo, ma anche con tutto il loro cuore. Essi si univano all’offerta di Gesù e ne accoglievano i frutti di grazia. Possiamo anche noi vivere la messa come Maria e Giovanni!

“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”

Queste parole, che accompagnano il segno della croce aprono la liturgia. Esse indicano che tutto ciò che diremo, vivremo, celebreremo, si farà “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

La messa comincia dunque con una prima professione di fede, nel mistero del nostro Dio trinitario. I cristiani vi aderiscono completamente con l’Amen che pronunciano. Questa formula trinitaria è molto antica: essa è frequentemente utilizzata dalle prime comunità cristiane. La si trova anche alla fine del vangelo secondo San Matteo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (28,19).

Il nostro Dio è Trinità

Non è poco ricordare all’inizio della messa che il nostro Dio è Trinità: questo è il cuore della nostra fede cristiana. La Trinità ci insegna che il nostro Dio è famiglia e comunione. Che Dio non è rivolto a se stesso ma verso l’Altro. Perciò, due esseri che cominciano ad amarsi diventano al contrario immagine di questo Dio Trinità che è Tutto–Amore. Dio non è dunque un Essere che ci sovrasta, ci schiaccia e ci punisce, ma un Dio che si da eternamente, il cui amore trabocca e diventa creatore: “È perché in Dio l’amore trabocca che Egli suscita queste creature che vuole che noi siamo, è perché in Dio l’amore trabocca che Egli ci fa venire all’esistenza. Egli vuole comunicarci ciò che Lui è, vuole che noi diventiamo come Lui, trasparenti alla sua luce, vuole che diventiamo come Lui, un puro respiro d’amore. E lo slancio creatore sbocca nell’eucarestia”.

La messa azione di tutta la Trinità

La messa è proprio questo traboccamento dell’amore, questo dono totale del Dio Trinità.

Il Padre ci offre suo Figlio, il Figlio si offre completamente.

Lo Spirito Santo, unità del Padre e del Figlio, nella quale si compie questa offerta, ci prepara all’incontro con il Cristo e ci dona di offrirci con Lui.

La nostra immersione nella Trinità

Queste prime parole della liturgia ci ricordano anche il nostro battesimo, il giorno nel quale siamo stati battezzati: “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Queste parole, che accompagnano il segno della croce, ci ricordano dunque l’essenziale della nostra vita cristiana e vi ci ricollocano. Ancora di più, l’eucarestia è “cibo” del nostro battesimo, combustibile della nostra vita cristiana, facendoci entrare sempre più profondamente nella Santa Trinità, nella quale siamo stati immersi. Comunicando al corpo di Cristo, diventiamo sempre più figli e figlie del Padre, perché Gesù, il Figlio diletto, viene a vivere in noi, ci conduce al Padre ed effonde in noi lo Spirito Filiale.

Ricapitolando:

Il primo gesto che compiamo insieme all’inizio di ogni liturgia è il segno della croce, segno per eccellenza dei cristiani. Questo gesto ci introduce, in profondità, nella liturgia; a ogni messa, noi partecipiamo al sacrificio della croce, siamo ai piedi della croce. Il sacrificio si rinnova per noi, nello stesso modo, anche se non in una maniera cruenta. Questo segno della croce si accompagna alla invocazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, prima professione di fede nel nostro Dio Trinità. La liturgia è l’azione della Trinità che si offre in un traboccamento d’amore e ci invita a rimanere sempre immersi in essa. Stiamo attenti al nostro modo di entrare nella celebrazione! Facciamo attenzione a non fare più il segno della croce distrattamente e meccanicamente, ma lasciamoci abbracciare dal nostro Dio Trinità! Possiamo anche mettere in pratica il buon consiglio di questa mamma: ogni mattina, alzandoci, il nostro primo gesto sia un bel segno di croce!

 

20 Gennaio 2017

About Author

Gianni De Luca Nasce in Abruzzo, a Tagliacozzo in provincia dell'Aquila. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale, si trasferisce a Roma, dove, attualmente, vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio lavora due anni in Revisione e Certificazione dei bilanci prima di iniziare a collaborare con uno Studio associato di Dottori Commercialisti della Capitale. Decide, ad un certo punto, di seguire la nuova via che gli si è aperta e, così, consegue prima il Magistero in Scienze Religiose presso l'Istituto Mater Ecclesiae e, poi, la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Urbe "Angelicum". Attualmente lavora come Insegnante di Religione cattolica negli Istituti di Istruzione superiore di Roma. Appassionato di Sacra Scrittura, tiene conferenze, anima da circa 20 anni un incontro biblico, presso l'Istituto M. Zileri delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore in Roma, e da circa 10 la Lectio divina sulle letture della Domenica presso la Basilica parrocchiale di Sant'Andrea delle Fratte. Animatore del gruppo di preghiera "I 5 Sassi", è organizzatore di pellegrinaggi e ritiri spirituali.


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