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Letture e Commento alla VII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
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Letture e Commento alla VII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Lv 19, 1-2.17-18; Sal 102; 1Cor 3, 16-23; Mt 5, 38-48

I brani della Scrittura che ascoltiamo in questa domenica contengono tutti e tre l’invito ad essere santi.

Lo dice esplicitamente il libro del Levitico che costituisce la prima lettura: “[Dio disse a Mosè] Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi”; poi Paolo riprende: “santo è il tempio di Dio, che siete voi.” E infine l’evangelista Matteo ci riporta le parole di Gesù: Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Ma cosa vuol dire essere santi? Non è qualcosa al di fuori della nostra portata?

Noi abbiamo presente alcune figure di santi che ci sono più familiari o care. Il loro ricordo ci deve far sentire più vicina la perfezione, o santità, di cui parla Gesù, perché con il loro esempio dimostrano che anche noi, uomini come loro, possiamo diventare santi: se è stato possibile per loro, lo è anche per noi oggi. Infatti spesso si ha una idea deformata della santità, come l’essere senza difetti o mancanze. No, non è questa la perfezione di cui parla l’apostolo Paolo: non è la perfezione di questo mondo, quella teorica della figure geometriche, ma è essere come Dio, e Giovanni ci dice che Dio è amore.
Proviamo allora ad entrare, attraverso i brani sopra citati, dentro la perfezione o santità di cui ci parla la Scrittura.

Il libro del Levitico pone la santità come l’obiettivo della vita di tutti i membri del popolo di Israele, scelto da Dio come suoi figli. Infatti per esso essere santi corrisponde ad essere un ebreo, e non un superuomo, qualcuno dalle doti straordinarie. L’ebreo infatti non solo crede in Dio, ma è invitato ad assomigliargli: Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Cioè: siate come me! Per questo per gli Ebrei era così importante mantenere la diversità dei loro comportamenti rispetto a tutti gli altri popoli, perché da questi si poteva riconoscere la santità del popolo e quindi del singolo membro. Il Levitico dunque dipinge una sorta di ritratto dell’ebreo, descrivendo tutto quello che lo rende diverso dagli altri popoli e dalle altre fedi.

Ma, poiché Dio sa che non sempre si riesce ad assomigliare al modello proposto, propone allo stesso tempo anche le vie con cui ottenere il perdono di Dio e tornare sulla strada buona dopo che ci si è avventurati su quella sbagliata. Essere santi infatti non significa non sbagliare mai, ma saper riconoscere il proprio errore e chiederne perdono per tornare a camminare seguendo le orme di Dio.

L’apostolo Paolo continua sulla stessa strada, ma va un po’ oltre. Per lui infatti l’uomo non può raggiungere la santità solo se si comporta nei modi prescritti dalla legge, che lui da buon fariseo conosceva perfettamente, ma se fa entrare Dio nella sua vita in modo così forte che è come se Lui stesso cominciasse a vivere in sé: Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? … santo è il tempio di Dio, che siete voi.” La consuetudine con il Signore, la conoscenza della sua Parola, la compagnia costante con Lui e il conservarne fedelmente la memoria ci rendono così intimi che Lui e il suo Spirito vengono ad abitare dentro di noi e a vivere nella nostra vita. E’ come dire: fidati e credi nella sua Parola ed essa, quasi senza che te ne accorgi, diventa il tuo modo di vivere, cioè la tua vita parlerà di essa.

Infine l’evangelista Matteo ci riporta alcune parole di Gesù che ci richiamano il discorso della montagna e le sue beatitudini. Il Signore parla infatti della perfezione dell’uomo prendendo a modello quella di Dio: essa consiste infatti per Gesù sostanzialmente nel dare a chi abbiamo accanto, cioè all’altro, la priorità assoluta, prima persino del ragionevole o del proprio interesse.

È quello che ha fatto Gesù: è nato, vissuto, morto e finalmente risorto non per suo interesse, anzi contro di esso, ma per l’interesse esclusivo di noi uomini. Gesù fa degli esempi concreti, che ci sono assai familiari: se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due….ecc…”.

Come già dicevamo alcune settimane fa a proposito delle beatitudini, sono affermazioni inspiegabili e contro ogni logica, che si possono non capire, ma gustare ed apprezzare nella loro bellezza solo se uno prova a viverle.

Tanto altro si potrebbe dire su questo tema, ma non certo ora. Piuttosto vorrei pormi con voi la domanda che a questo punto sorge spontanea: la Scrittura ci parla di santità, ci invita a perseguirla e ci mostra anche delle vie concrete da seguire. Lo sappiamo, e conosciamo anche molti di questi consigli, ma ci chiediamo: perché dovremmo seguirli e applicare a noi quella logica illogica e paradossale della perfezione evangelica e delle beatitudini?

Non è una domanda retorica, ma è la domanda su cui si gioca tutta la vita, perché determina la scelta di come spenderla. È la domanda che sta alla base del fatto che pur conoscendo tante volte il Vangelo non lo viviamo.

Io non credo che ci sia una risposta razionale a questa domanda: perché vivere così? L’unica risposta possibile infatti è perché mi fido, di Dio e di chi l’ha già vissuto, e perché intuisco, e forse talvolta ho sperimentato, che è il modo migliore di vivere.”

Altri motivi non ce ne sono. Per questo dobbiamo essere grati alla testimonianza dei santi, cioè di coloro che ci hanno preceduto e hanno fatto, prima di noi, un tratto di quella strada indicata dal Vangelo. Ci hanno raccontato di cosa è significato per loro, e ce lo raccontano i testimoni della loro vita. Non è stato un sacrificio e una rinuncia, ma la scoperta di quella perla preziosa che, scoperta nel campo, qualcuno vende tutto per poterla acquistare. Sì la santità è una perla preziosa, il modo più prezioso di vivere, e la intravediamo semi sepolta nel campo della vita. Vale veramente la pena allora vendere tutto quello che non vale altrettanto, lasciare la sapienza del mondo di cui parla il Vangelo che ci fa calcolare i rischi e le convenienze e determina le scelte della vita sulla base della logica dell’evidenza. Vendiamo tutto questo che davanti al valore di quella perla rivela tutta la sua vanità inconsistente. Arricchiamoci allora dell’unica cosa che vale, la sapienza del Vangelo che ci guida a spendere la vita per gli altri, guadagnando il tesoro.

Messaggio di questa Domenica

A piccoli passi verso l’irraggiungibile

La liturgia della Parola di questa domenica è racchiusa tra due esortazioni che hanno il sapore, ancora una volta, di una rivelazione: il passo dal Levitico si apre con Siate santi perché io il Signore Dio vostro sono santo e la pagina di Matteo si chiude con Gesù che dice Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Potremmo dire che si tratta di una grande inclusione che, mentre chiede all’uomo di volare altissimo, per ciò stesso gli rivela che, per grazia, egli lo può!

La possibilità di santità, di perfezione è racchiusa, come sempre non in una nostra capacità assoluta ma in un’opera previa di Dio che ama l’uomo e lo salva rendendolo capace di un volo altissimo e inimmaginabile.

Nel Libro del Levitico il Signore ha tratto il suo popolo dall’Egitto con grande potenza, ecco l’opera previa di Dio!, nel Vangelo si sta narrando proprio la storia della definitiva compromissione di Dio con l’uomo, una compromissione che arriverà fino alla croce; nel Vangelo Gesù è la Parola che mostra e proclama l’uomo nuovo che, di fatto, in Gesù stesso già è visibile.

Questa grande inclusione che la liturgia ha creato, racchiude entro il suo cerchio, l’amore per il fratello; un amore senza sconti e senza scuse; un amore per l’altro qualunque sia il volto dell’altro, qualunque sia la sua storia e perfino qualunque sia la relazione che questo altro instauri o voglia instaurare con noi; questo altro, dice Gesù, può essere anche il nemico, anche il persecutore.

Già nel testo di Levitico abbiamo ascoltato quelle parole che Gesù farà sue unendole allo Shemà e quindi al comando di amare Dio: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua mente e con tutte le tue sostanze e il prossimo tuo come te stesso (cfr Mt 22, 34-40).

Sulle labbra di Gesù, dato il precetto di amare il nemico, la nozione di prossimo viene certo dilatata senza più confini; per Gesù il prossimo è semplicemente l’altro. La misura per amare il prossimo per la Scrittura è come te stesso; questa è una misura certa in cui nessuno può “barare” … su altri amori si può anche “barare”, per esempio siamo bravissimi a “barare” sull’amore per Dio!, su quello verso noi stessi “barare” è impossibile, perché ognuno di noi sa molto bene cosa desidera per se stesso: ciascuno vuole pace, sicurezza, misericordia e perdono per i suoi errori e peccati, ciascuno vuole su di sé uno sguardo benevolo che non lo schiacci o umili, vuole essere amato … c’è poco da fare: sono queste le cose che più vogliamo, che più profondamente vogliamo.

Come amare l’altro? Per Gesù questo vale più di ogni cosa, per Gesù vale la pena qualsiasi fatica per amare l’altro; così in questa pagina di Matteo ci indica una via precisa fatta di sei necessità che sono assolutamente estranee al mondo e che sono, nell’ottica della pagina di domenica scorsa, un estremo del compimento della Legge che è venuto a portarci.

Per amare l’altro Gesù ci chiede di superare la giustizia umana che vorrebbe soddisfazione contro il malfattore, per lo meno con quel famigerato occhio per occhio, dente per dente che poi, in realtà, in tutte le culture antiche, nasce per regolare il male della vendetta sancendo che non si può infliggere un male superiore a quello che si è ricevuto: per un occhio un occhio, non due … per un dente un dente, non di più … e così via … La via che Gesù indica è non opporsi al malvagio che significa che si deve combattere il male e non il malvagio, che bisogna odiare il peccato e non il peccatore; la via che Gesù dà è quella su cui spesso il mondo ride: porgi l’altra guancia che significa essere disposti a portare il male su di sé pur di non restituirlo, essere disposti a raddoppiarlo su di sé pur di non propagarlo … la via che Gesù indica è quella di vincere il male anche rinunciando al proprio diritto, A chi ti chiama in giudizio per toglierti la tunica tu dagli anche il mantello; è quella di vincere il male essendo pronti a portare il peso e la fatica dell’altro, Se uno ti costringe a fare un miglio con lui, tu va’ con lui per due; si vince il male, dice ancora Gesù, rinunciando a prendere per possedere, e aprendosi al dare, A chi ti chiede dai e a chi vuole un prestito concediglielo

Il culmine di questa via altra di Gesù è il capovolgimento del naturale odio per il nemico, che è il mezzo naturale di difesa che l’uomo pratica in ogni latitudine e Gesù lo richiede nella stessa ottica di un superamento di ciò che pare “naturale” in vista di un oltre che è l’unica via di salvezza nel dilagare del male che rischia di sommergere il mondo.

Mi pare chiaro che con queste sei richieste Gesù qui indichi una via limpidissima: bisogna farsi “termine” del male; bisogna essere disposti ad essere colpiti dal male ma per fermare il male impedendo al male di andare oltre.

Se riflettiamo è proprio quello che Gesù ha fatto: Insultato non restituiva l’insulto, soffrendo non minacciava vendetta (cfr 1Pt 2,23) e così facendo fermò su di sé l’ingranaggio terribile del male. Così tutto fu compiuto (cfr Gv 19,30) e così si è compiuti, cioè perfetti … Matteo, infatti, per dire Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste usa il termine greco “téleioi” che significa compiuti, giunti al “télos”, alla meta, giunti alla realizzazione dello scopo più profondo; per il IV Vangelo, quello di Giovanni, l’ultima parola del Crocefisso è proprio “Tetélestai”, cioè “è compiuto”, “è l’estremo”.

Per giungere a questo compimento, di cui già domenica scorsa ascoltavamo, Gesù chiede un di più, Che cosa fate di più? in greco “perissòn”, chiede di andare al profondo, chiede un amore che superi quello degli scribi e dei farisei (cfr Mt 5,20), quello cioè solo “dovuto”, quello “naturale”; chiede anzi di rinnegare se stessi per essere figli del Padre, per fare come Lui che ama e benefica senza guardare alle colpe (cfr Sal 130,3) e fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se si fa così, si fa come Dio e si è “altro”, si è “santi”, si è “compiuti”!

Mentre Gesù indica la meta nel Padre, Lui stesso si mostra sempre più come via per giungervi, Lui che per il nemico ha dato la vita; scrive infatti Paolo: Quando eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo (cfr Rm 5,10).

Tutte queste parole di Gesù nel Discorso sul monte non hanno come motivazione un buon vivere sociale, un desiderio di pacificazione che renda più vivibile la storia; il motivo è Dio, e quello che Lui ha fatto di noi e per noi. L’esito poi sarà anche l’umanizzazione della storia ma il motivo per mettersi su una via così contraddittoria per le vie del mondo può essere solo Lui, il Signore Gesù, Figlio di Dio nella nostra vera carne.

Per il discepolo di Cristo il motivo per vivere secondo queste parole del Vangelo non può essere altro che Cristo stesso e la meta la santità di Dio.

È solo per Lui, per Cristo Gesù, che si può non opporsi al malvagio, è solo per Lui che si può porgere l’altra guancia, è solo per Lui che si può essere disposti a perdere, è solo per Lui che si può scegliere di dare incondizionatamente, è solo per Lui che si può amare il nemico. Solo per Lui e grazie a Lui, grazie al suo dono, grazie alla sua umanità che ha cominciato a trasfigurare la nostra umanità. In Lui è già iniziato il compimento.

Per la vita:

L’amore non esclude nessuno

L’amore autentico non esclude nessuno, neppure coloro che ci fanno del male. Il brano che segue ci dice che in colui che ama avviene l’assoluto decentramento da sé per guardare l’altro mai come un nemico, ma sempre come qualcuno al quale io ho qualcosa da donare.

“Un monaco si era seduto a meditare sulla riva di un ruscello. Quando aprì gli occhi, vide uno scorpione che era caduto nell’acqua e lottava disperatamente per stare a galla e sopravvivere. Pieno di compassione, il monaco immerse la mano nell’acqua, afferrò lo scorpione e lo posò in salvo sulla riva. L’insetto per ricompensa si rivoltò di scatto e lo punse provocandogli un forte dolore.

Il monaco tornò a meditare, ma quando riaprì gli occhi, vide che lo scorpione era di nuovo caduto in acqua e si dibatteva con tutte le sue forze. Per la seconda volta lo salvò e anche questa volta lo scorpione punse il suo salvatore fino a farlo urlare per il dolore.

La stessa cosa accadde una terza volta. E il monaco aveva le lacrime agli occhi per il tormento provocato dalle crudeli punture alla mano. Un contadino che aveva assistito alla scena esclamò: «Perché ti ostini ad aiutare quella miserabile creatura che invece di ringraziarti ti fa solo male?».

«Perché seguiamo entrambi la nostra natura» rispose il monaco. «Lo scorpione è fatto per pungere e io sono fatto per essere misericordioso»”.

Bruno Ferrero, A volte basta un raggio di sole.

17 Febbraio 2017

About Author

Gianni De Luca Nasce in Abruzzo, a Tagliacozzo in provincia dell'Aquila. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale, si trasferisce a Roma, dove, attualmente, vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio lavora due anni in Revisione e Certificazione dei bilanci prima di iniziare a collaborare con uno Studio associato di Dottori Commercialisti della Capitale. Decide, ad un certo punto, di seguire la nuova via che gli si è aperta e, così, consegue prima il Magistero in Scienze Religiose presso l'Istituto Mater Ecclesiae e, poi, la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Urbe "Angelicum". Attualmente lavora come Insegnante di Religione cattolica negli Istituti di Istruzione superiore di Roma. Appassionato di Sacra Scrittura, tiene conferenze, anima da circa 20 anni un incontro biblico, presso l'Istituto M. Zileri delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore in Roma, e da circa 10 la Lectio divina sulle letture della Domenica presso la Basilica parrocchiale di Sant'Andrea delle Fratte. Animatore del gruppo di preghiera "I 5 Sassi", è organizzatore di pellegrinaggi e ritiri spirituali.


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