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Letture e Commento alla I Domenica di Quaresima
a2, La Liturgia, Rubriche

Letture e Commento alla I Domenica di Quaresima

Letture: Gen 2,7-9; 3,1-7; Rom. 5,12-19; Mt. 4,1-11.

Commento esegetico-teologico

Da questa domenica la liturgia della Parola abbandona la catechesi del tempo ordinario, per illustrare temi quaresimali. Le tre letture sono scelte coerentemente attorno a un solo tema; sono più ampie e normalmente più impegnative. La Quaresima è tradizionalmente il tempo di una catechesi più approfondita.

Il Vangelo narra le tentazioni di Gesù. È una pagina misteriosa e non facile. Possiamo farne una lettura in chiave parenetica: Gesù tentato di gola, di superbia, vince e si afferma come nostro modello. Non è una lettura del tutto fuor di posto: tuttavia bisogna dire che non approfondisce il mistero di questo avvenimento.

Che cosa furono le tentazioni del demonio per Gesù? In un’altra occasione, cioè al Getsemani, il demonio tenterà di indurlo a non fare la volontà del Padre, non accettare il calice della passione. Così aveva fatto anche san Pietro, e si era sentito dire: “Va’ via Satana; tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini” (Mc. 8,32). Anche qui si tratta di tentazioni che, se ascoltate, avrebbero portato a un messianismo “glorioso” e spettacolare. Gesù invece accetta, e ne prende sempre più coscienza nella sua santa umanità, un messianismo che passa attraverso la Croce.

Poiché il fatto non ebbe spettatori “dal di fuori”, bisogna pensare che risalga a una narrazione di Gesù. Nulla impedisce di pensare che egli abbia dato forma immaginosa e visionaria una sua esperienza religiosa puramente interiore. Ciò sembra tanto più probabile, se osserviamo anche la forma in cui il racconto si presenta a noi: il colloquio tra i due, Gesù e il demonio, si svolge da entrambe le parti a base di citazioni bibliche, e le tre tentazioni sembrano ricalcare altrettanti momenti della storia del popolo ebreo. Gesù in certo modo ripercorre le tentazioni del suo popolo, quelle dei 40 anni nel deserto, e riesce vittorioso proprio là ove il popolo era stato vinto. La sostanza del racconto è dunque questa: Gesù accetta la volontà del Padre, obbedisce, e diviene per noi il nuovo Adamo fonte di salvezza.

La prima lettura riferisce il racconto della nostra rovina in Adamo. Anche questa pagina, che contiene una verità fondamentale della nostra fede, cioè che tutti abbiamo bisogno di salvezza perché tutti nasciamo in situazione di peccato; porta i segni della riflessione e del modo di esprimersi del popolo ebreo. Il racconto non va preso alla lettera, ma accettato per l’insegnamento che esprime. L’uomo si trova in situazione dialogale negativa con Dio fin dalla sua nascita. Ciò non per volontà sua, ma per una condizione ereditaria nella stirpe umana. Come ciò sia avvenuto è misterioso; la Bibbia lo ricostruisce con un racconto popolare inserito nella concezione del mondo e dell’origine dell’uomo del suo tempo.

In altre situazioni culturali, ipotesi dell’evoluzionismo, le modalità potranno essere pensate in altro modo. Sarà però sempre un lavoro congetturale, e non indispensabile. Importante è la verità di fondo, che tutti abbiamo bisogno di redenzione perché tutti siamo davanti a Dio in una situazione anomala di peccato fin dalla nascita.

Nella seconda lettura Paolo prosegue il discorso sul peccato originale, mettendo in paragone l’opera di Adamo e quella di Cristo. Nella sua figura di nuovo capo e salvatore dell’umanità egli supera infinitamente Adamo. La Quaresima è nella Chiesa un momento privilegiato dell’incontro nostro con quella ricchezza di redenzione.

Messaggio di questa Domenica

Il racconto delle tentazioni di Gesù è presente nei tre vangeli sinottici.

Marco si limita a poche righe, accentuando l’aspetto di Gesù come nuovo Adamo, per dire che Gesù è il nuovo Adamo, che vince le tentazioni e dà origine a un’umanità fedele a Dio. Matteo, invece, lo racconta in dettaglio, e lo inserisce subito dopo il battesimo, presentando Gesù come il nuovo Israele.

Luca, infine, lo riporta con qualche variante rispetto a Matteo: mette come ultima tentazione quella di Gerusalemme, in cui Gesù avrebbe dovuto accettare per sé un messianismo vincente e glorioso; scrive che, alla fine il tentatore si allontana per ritornare “al momento fissato”, quello della croce. Cristo è presentato nella sua vittoria pasquale sul nemico, satana. Questa vittoria la vediamo realizzata negli esorcismi, nei miracoli stessi e nella passione.

Ogni anno, nella prima di Domenica di Quaresima, la liturgia vuole che si rifletta sulle tentazioni di Gesù. Presenta il modo in cui il Maestro le ha affrontate per indicare a noi come possono essere riconosciute e superate.

Leggendo i brani si ha, però, l’impressione che l’esperienza di Gesù non ci possa aiutare molto: le sue tentazioni sono troppo diverse dalle nostre, sono strane, addirittura stravaganti. Chi di noi cederebbe mai alla sollecitazione di prostrarsi davanti al diavolo? Chi gli darebbe retta se proponesse di trasformare una pietra in pane o se ci invitasse a buttarci da una finestra? No, le nostre tentazioni sono molto più serie, più difficili da vincere e poi non durano solo una giornata, ma ci accompagnano per tutta la vita.

Questa difficoltà nasce dalla mancata comprensione del “genere letterario”, vale a dire, del modo usato dall’autore per comunicare il suo messaggio. Il Vangelo che racconta le tentazioni di Gesù non è una cronaca fedele, redatta da un testimone oculare, della sfida fra Gesù e il diavolo, nessuno dei tre evangelisti, né alcun altro vi hanno assistito, ma è una lezione di catechesi e vuole insegnarci che Gesù è stato mosso alla prova non con tre, ma “con ogni specie di tentazione”, come afferma chiaramente il Vangelo.

Per dirla con parole più semplici e chiare: non siamo di fronte al racconto di tre episodi isolati della vita di Gesù, ma a tre parabole in cui, attraverso immagini e richiami biblici, si afferma che Gesù è stato tentato in tutto come noi, con una unica differenza: Egli non è mai stato vinto dal peccato, proprio come dice la Lettera agli Ebrei.

Questi tre quadri sono la sintesi simbolica della lotta contro il male da Lui sostenuta in ogni momento della sua vita.

Forse qualcuno resta un po’ sconcertato di fronte all’idea che Gesù abbia avuto dubbi come noi, che abbia incontrato difficoltà nell’adempimento della sua missione, che abbia scoperto solo gradualmente il progetto del Padre. Abbiamo quasi paura di abbassarlo troppo al nostro livello. Ma Dio non ha sentito avversione verso la nostra debolezza, l’ha fatta sua e, nella nostra carne debole e mortale, ha vinto il peccato.

A differenza di Matteo che ci dice che Gesù fu tentato solo alla fine dei quaranta giorni di digiuno, Luca afferma che la tentazione ha accompagnato Gesù durante tutto il tempo trascorso nel deserto. Con questo richiamo al deserto e al numero quaranta, Luca intende collegare l’esperienza di Gesù con quella di Israele, messo alla prova durante l’Esodo.

Egli ripete l’esperienza del suo popolo: “Dio ti ha fatto percorrere il deserto in questi quarant’anni per metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti” come dice il Libro del Deuteronomio, 8,2.

A differenza di Israele, Gesù, alla fine dei suoi quaranta giorni, uscirà dal deserto pienamente vittorioso, il male sarà costretto ad ammettere la sua totale impotenza nei suoi confronti.

Ora consideriamo i tre quadri in cui sono condensate tutte le prove superate da Gesù.

  • La prima tentazione: “Dì a questa pietra che diventi pane!”.

Il racconto delle tentazioni viene subito dopo quello del Battesimo di Gesù. Allora, Gesù, il giusto, il santo, non ha iniziato la sua missione rimproverando i peccatori, non si è limitato a dare loro delle indicazioni, mantenendosi a distanza, come facevano i farisei. Egli è andato a farsi battezzare assieme ai peccatori, nel punto più basso della terra, si è confuso in mezzo a loro, è divenuto uno di loro, ha scelto di percorrere al loro fianco il cammino che porta alla liberazione.

Condividere in tutto la nostra condizione umana, però, non è facile. Ecco, allora, la prima tentazione che Gesù ha avuto e non una sola volta, ma durante tutta la vita: servirsi del proprio potere divino per sfuggire alle difficoltà che gli uomini comuni incontrano. Essi hanno fame, si ammalano, si stancano, provano crisi, debbono imparare, possono venire ingannati, sono soggetti a disgrazie e sono oppressi da ingiustizie…Bene, Lui può sottrarsi a queste difficoltà e il diavolo lo invita a farlo; gli propone di non esagerare nell’identificarsi con gli uomini, gli suggerisce di fare dei miracoli per il suo tornaconto personale. Se Gesù lo avesse ascoltato avrebbe rinunciato ad essere uno di noi, non sarebbe stato realmente uomo, avrebbe solo fatto finta di esserlo.

Gesù ha capito quanto era diabolico questo progetto; ha usato sì il potere di compiere miracoli, ma mai per sé, sempre per gli altri. Ha lavorato, ha sudato, ha sofferto la fame, la sete, ha passato notti insonni, non ha voluto privilegi. Il momento culminante di questa tentazione fu sulla croce. Lì di nuovo fu invitato a compiere un miracolo per sé, fu sfidato a scendere. Se avesse compiuto il prodigio, se avesse rifiutato la “sconfitta”, Gesù sarebbe stato un trionfatore agli occhi degli uomini, ma sarebbe stato uno sconfitto davanti a Dio.

Questa tentazione si ripresenta, subdola, ogni giorno, anche a noi. Si ripresenta anzitutto come invito al ripiegamento egoistico su noi stessi senza pensare agli altri, come invito al rifiuto dell’atteggiamento solidale assunto da Cristo. Si cede a questa tentazione quando le capacità che Dio ci ha dato vengono impiegate per soddisfare i propri capricci e non per aiutare i fratelli e le sorelle; quando ci si adegua alla mentalità corrente in cui ognuno cerca di arrangiarsi a danno degli altri, di pensare solo al proprio tornaconto. Gesù ha preferito essere povero e sconfitto con gli altri piuttosto che divenire ricco e star bene da solo.

In questa prima scena viene identificato e denunciato il modo errato con cui l’uomo si rapporta con le realtà materiali. È diabolico l’impiego egoistico dei beni, accumulare per sé, vivere del lavoro degli altri, cercare il piacere a ogni costo, sperperare nel lusso e nel superfluo, mentre ad altri manca il necessario.

Alla proposta del diavolo Gesù risponde richiamandosi ad un testo della Scrittura, precisamente Deuteronomio 8,3: “Non di solo pane vivrà l’uomo”. Solo chi considera la propria vita alla luce della Parola di Dio è capace di dare alle realtà di questo mondo il giusto valore. Non vanno disprezzate, distrutte, rifiutate, ma nemmeno trasformate in idoli, in ragioni di vita. Sono solo creature, beni, doni, guai a considerarle degli assoluti.

  • La seconda tentazione: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo».

Sembra un po’ esagerato quanto il diavolo afferma. Eppure è vero: la logica che regge e governa il mondo, quella che regola i rapporti fra gli uomini non è purtroppo quella proposta da Gesù nelle Beatitudini, non è quella proposta nel grande discorso della montagna, ma quella opposta, quella del maligno. La prima tentazione denunciava il modo errato di rapportarsi con le cose, questa seconda aiuta ad individuare il modo diabolico con cui ci si può rapportare con le persone, con i propri simili, con i fratelli e sorelle che, come noi, sono su questa terra pellegrini e forestieri.

La scelta è fra il dominare ed il servire, fra il competere e il divenire solidali, fra il sopraffare e il considerarsi servitori. Questa scelta si manifesta in ogni atteggiamento ed in ogni condizione di vita: chi ha potuto compiere un cammino di istruzione ed ha raggiunto una posizione di prestigio può aiutare a crescere chi ha avuto meno possibilità di lui, ma può anche servirsene per umiliare ed usare chi è meno dotato. Chi detiene un potere, qualunque esso sia, chi è ricco, può servire i più poveri e coloro che la vita ha meno favorito, ma può anche farla da padrone nei loro confronti. La bramosia del possedere e del potere è così irrefrenabile che anche chi è povero è tentato di sopraffare chi è più debole di lui.

L’autorità è un carisma, è un dono di Dio alla comunità affinché in essa ognuno possa trovare il suo posto ed essere felice. Il potere fine a sé stesso, invece, è diabolico, anche se viene esercitato in nome di Dio. Ovunque si esercita il dominio sull’uomo, ovunque si lotta per prevalere sugli altri, ovunque qualcuno è costretto ad inginocchiarsi di fronte ad un suo simile, lì è all’opera la logica malefica del maligno.

A Gesù non mancavano di certo le doti per emergere, per scalare tutti i gradini del potere religioso e politico. Era intelligente, lucido, coraggioso, incantava le folle. Avrebbe certamente avuto successo…ma a una condizione, che “adorasse satana”, cioè, che si adeguasse ai princìpi di questo mondo: entrasse in competizione, ricorresse anche alla violenza, sopraffacesse gli altri, si alleasse con i potenti e i prepotenti e impiegasse i loro metodi. La sua scelta è stata quella opposta: si è fatto servo di tutti. “Ecco, io sono in mezzo a voi come colui che serve”. Questo è stato il suo programma di vita, questa è stata la sua vita.

  • La terza tentazione: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».

È la più pericolosa delle tre, perché mette in causa direttamente il rapporto fra l’uomo e Dio.

La proposta diabolica è basata addirittura sulla Bibbia. Il tentatore cita il Salmo 91,11s che parla della protezione che Dio garantisce all’uomo fedele: «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede». Il diavolo si rivela conoscitore della Scrittura, sa citare il Salmo con esattezza.

La più subdola delle astuzie del male è quella di presentarsi con un volto accattivante, di assumere un’aria devota, di servirsi della stessa Parola di Dio, storpiata ed interpretata in modo del tutto fuorviante, proprio per condurre fuori strada.

L’obiettivo a cui tende il maligno non è quello di provocare qualche cedimento morale, qualche fragilità, qualche scoraggiamento, qualche debolezza, ma minare alla base il nostro rapporto con Dio.

Questo obiettivo viene raggiunto quando, nella mente dell’uomo, si insinua il dubbio che il Signore non mantenga le sue promesse, che manchi di parola, che assicuri la sua protezione, ma abbandoni poi chi gli ha dato fiducia. L’obiettivo è raggiunto quando noi mettiamo davvero in discussione il fatto che il Signore si prenda cura di noi, della nostra vita. Da questo dubbio nasce il bisogno di “avere delle prove, dei segni”.

Nel deserto, il popolo di Israele, stremato dalla fame, dalla sete, dalla fatica, ha ceduto a questa tentazione ed ha esclamato: “Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?”, ci racconta il libro dell’Esodo, 17,7, arrivando addirittura a pensare che il Signore li abbia condotti nel deserto per farli morire, come dice il libro dei Numeri, 14, 1-9.

Il popolo di Israele ha provocato il suo Dio dicendo: se sta dalla nostra parte, se realmente ci accompagna con il suo amore, si manifesti concedendoci un segno, compiendo un miracolo.

Gesù non ha mai ceduto a questa tentazione. Anche nei momenti più drammatici si è rifiutato di chiedere al Padre una prova, un segno del suo amore. Non ha mai dubitato della sua fedeltà nemmeno sulla croce quando, di fronte all’assurdità di quanto gli stava accadendo, poteva essere indotto a pensare che anche il Signore lo avesse abbandonato.

Quando il Signore non realizza i nostri sogni allora cominciano le nostre lamentele e rimostranze: “Dov’è Dio? Chissà se esiste! Ma vale davvero la pena continuare a credere se poi Egli non interviene per favorire chi lo serve?”. Se Dio non dà le prove di amore che molto spesso noi esigiamo, allora la fede, soprattutto quando è fragile, rischia di crollare.

Dio non ha promesso ai suoi figli di preservarli dalle difficoltà e dalle tribolazioni. Non ha promesso di liberarli miracolosamente dalla malattia, dal dolore, ma di dare loro la forza perché non escano sconfitti dalle prove, anzi ne escano rafforzati. Non si può pensare che Dio ci tratti in modo diverso da come ha trattato il proprio Figlio unigenito e, questo, per amore della verità, ce lo ha detto anche Gesù nel Vangelo. Il vero problema per noi è che non abbiamo la stessa fiducia, la stessa confidenza nel Padre che aveva Gesù e questo lo dobbiamo chiedere nella nostra preghiera.

Questa ultima tentazione, secondo me, merita un ulteriore approfondimento perché abbiamo qui davanti a noi in tutta la sua ampiezza il grande interrogativo di come si possa conoscere Dio e come si possa non conoscerlo, di come l’uomo possa stare in rapporto con Lui e come possa smarrirlo.

La presunzione, che vuole fare di Dio un oggetto e imporgli le nostre condizioni sperimentali da laboratorio, non può trovare Dio. Infatti si basa già sul presupposto che noi neghiamo Dio in quanto Dio, perché ci poniamo al di sopra di Lui. Perché mettiamo da parte l’intera dimensione dell’amore, dell’ascolto interiore, e riconosciamo come reale solo ciò che è sperimentabile, che ci è stato posto nelle mani. Chi la pensa in questo modo fa di sé stesso Dio e degrada così facendo non solo Dio, ma anche il mondo e sé stesso.

A partire da questa scena sul pinnacolo del tempio si apre anche lo sguardo sulla croce. Cristo non si è gettato dal pinnacolo del tempio. Non è saltato nell’abisso. Non ha messo alla prova Dio. Ma è sceso nell’abisso della morte, nella notte dell’abbandono, nell’essere in balìa che è proprio degli inermi. Ha osato questo salto come atto dell’amore di Dio verso gli uomini. E perciò sapeva che, saltando, alla fine avrebbe potuto soltanto cadere nelle mani benevole del Padre.

Così si palesa il vero senso del Salmo 91, il diritto a quell’estrema e illimitata fiducia di cui in esso si parla: chi segue la volontà di Dio sa che in mezzo a tutti gli orrori che può incontrare non perderà mai un’ultima protezione.

Sa che il fondamento del mondo è l’amore e che quindi anche là dove nessun uomo può o vuole aiutarlo, egli può andare avanti riponendo la sua fiducia in Colui che lo ama.

Tale fiducia, a cui ci autorizza la Scrittura e, alla quale il Signore, il Risorto, ci invita, è però qualcosa di completamente diverso dalla sfida avventurosa a Dio che vuole fare di Lui il nostro servo.

Il racconto delle tentazioni, secondo la versione di Luca, termina con una interessante annotazione: “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato”. Luca parla di ogni specie di tentazione, dunque, i tre quadri che ha dipinto vanno interpretati come una sintesi di tutte le tentazioni. Rappresentano, in modo schematico, i modi errati di rapportarsi con le tre realtà che caratterizzano il nostro vivere quotidiano: con le cose, con le persone, con Dio.

I Vangeli in effetti accennano ad altre tentazioni di Gesù, oltre a quelle già citate:

– La folla lo tenta, quando vuole rapirlo e incoronarlo re (Gv 6,15);

– Pietro lo tenta, quando lo rimprovera per l’annuncio della Passione e cerca così di stravolgere il senso della sua missione: ma Gesù lo scaccia dicendo: “Vattene via da me, Satana” (Mc 8,33).

– I farisei lo “tentano” in varie occasioni, per esempio quando gli pongono la domanda se sia lecito pagare il tributo a Cesare, e Gesù risponde: “Perché mi tentate, o ipocriti?” (Mt 22,18).

Insomma, tutto il ministero di Gesù è in qualche modo sotto il segno della tentazione; e la stessa cosa vale per i suoi discepoli. Non è un caso che la preghiera che Gesù ci ha insegnato si concluda con queste domande: “non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno”, questo nella versione di Mt 6,13, mentre nella versione di Luca 11,4 la conclusione è semplicemente: “e non ci esporre alla tentazione”.

Non ci esporre: letteralmente, non “farci entrare” nella tentazione: fa’ che non soccombiamo ad essa, che non cadiamo nella trappola che il male ci tende.

Fin dall’inizio del suo Vangelo, dunque, Luca lascia intravedere il momento in cui la tentazione si manifesterà nel modo più violento e drammatico: sulla croce.

Il diavolo non si è allontanato definitivamente, si è ritirato nell’attesa di tornare al tempo fissato. Si riparlerà di lui e della sua opera seduttrice più avanti, al momento della passione quando entrerà in Giuda e lo spingerà al tradimento. Quella sarà, per usare le stesse parole di Gesù, la manifestazione dell’impero delle tenebre, impero che, proprio quando penserà di celebrare il proprio trionfo, verrà sconfitto.

Le tentazioni di Gesù sono praticamente le tentazioni a cui sono soggetti gli uomini di tutti i tempi. Ma è innegabile che “le tentazioni del deserto, così decisamente respinte da Gesù, abbiano avuto più successo con i suoi discepoli di ieri e continuino ad averne, talvolta, anche con quelli di oggi”.

Per vincerle, proprio come ha fatto Gesù, suggerisco a me e a voi qualche passo da fare:

  • Farsi imitatori di Gesù

La scelta di Gesù, in questo racconto, è prima di tutto una scelta di vita, un modo di essere uomo, una risposta di fedeltà ai piani di Dio su di Lui. Gesù sceglie per sé una vita senza compromessi, entrando in una logica che lentamente lo condurrà a duri contrasti e alla croce. È questo aspetto che riguarda più da vicino ogni uomo, perché tutti in qualche modo nella loro vita, e in ogni singola scelta, sono chiamati a fare propria la scelta di Adamo o quella di Gesù.

Soprattutto coloro che intendono affrontare la vita in modo più pieno, e rifiutano di vivacchiare o di abbrutirsi, si scontreranno sempre con la tentazione di risolvere i loro problemi esistenziali dando importanza ai beni materiali, andando alla ricerca del successo, sfruttando in qualche modo il piccolo o grande potere che si ritrovano

È facile illudersi che il grande problema della vita, o i piccoli problemi quotidiani nostri e di chi ci sta accanto, siano superabili con un po’ di denaro, con la sicurezza economica, rinnovando le attrezzature o cambiando in continuo stili di vita. Sono tentazione perché chi si affida a queste cose attende in qualche modo salvezza da esse, mentre la salvezza è qualcosa di più profondo e di più personale.

Queste cose hanno certamente un senso e una precisa utilità, ma sono anche un’arma a doppio taglio, che acquistano il valore che ad esse si attribuisce. Possono, così, diventare strumenti o, al contrario, piccoli idoli.

Non a caso satana non chiede a Gesù di scegliere tra Dio e il potere, tra Dio e il benessere, ma di usare queste cose a gloria di Dio.

Gesù, il vero uomo nuovo, superando le tentazioni, non ci presenta soltanto un modello, anche se irraggiungibile, di fedeltà: diventa, invece, per noi sicurezza e possibilità di vittoria, perché le sue scelte possano diventare le nostre.

Gesù, infatti, non si limita a indicarci la strada, ma ci sostiene nel momento in cui anche noi ci proponiamo di essere fedeli. La salvezza, infatti, è un dono che viene da Dio, e anche la possibilità che abbiamo di fare delle scelte giuste e di realizzarci, di diventare creature nuove, non nasce dal nostro sforzo personale, ma dalla fede in Lui.

  • La riscoperta della lotta spirituale

“Uno degli aspetti oggi più disattesi della vita cristiana è certamente quello della lotta spirituale, elemento fondamentale in vista dell’edificazione di una personalità umana, prima ancora che cristiana, salda e matura”. Si tratta del combattimento invisibile in cui l’uomo oppone resistenza al male e lotta per non essere vinto dalle tentazioni, quelle pulsioni e suggestioni che sonnecchiano nel profondo del suo cuore, ma che sovente si destano ed emergono con una prepotenza aggressiva, fino ad assumere il volto di tentazioni seducenti.

Quando si inizia a non vivere come si pensa, si finisce per pensare come si vive! Non è possibile l’edificazione di una personalità umana e spirituale robusta senza la lotta interiore, senza un esercizio al discernimento tra bene e male, in modo da giungere a dire dei ‘sì’ convinti e dei ‘no’ efficaci: ‘sì’ a quello che possiamo essere e fare in conformità a Cristo; ‘no’ alle pulsioni egocentriche che ci alienano e contraddicono i nostri rapporti con noi stessi, con Dio, con gli altri e con le cose, rapporti chiamati a essere contrassegnati da libertà e amore.

La vita secondo lo Spirito, cui ogni cristiano è chiamato, comporta una conoscenza di sé e dei meccanismi che presiedono alla tentazione, un discernimento della propria peculiare debolezza per poter combattere con vigore contro il peccato. Il peccato è una potenza che opera nell’uomo e per mezzo dell’uomo, contro l’uomo stesso e la sua volontà, come acutamente rilevato da Paolo: «Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che odio» (Rm 7,15).

Le radici della riflessione sulla lotta spirituale si trovano nella Scrittura. Fin dalle prime pagine della Genesi, l’Antico Testamento conosce il comando a dominare l’istinto malvagio che abita il cuore umano: «Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è la sua brama, ma tu dominalo» (Gen 4,7).

Questa lotta è talmente necessaria che nemmeno Gesù vi si è sottratto, e il suo confronto nel deserto con il Tentatore ce lo mostra chiaramente. Anzi, come Gesù, subito dopo essere stato battezzato da Giovanni, ha conosciuto l’assalto di Satana, così ogni battezzato dovrà attendersi una dura opposizione da parte dell’Avversario, che cercherà di distoglierlo dal suo cammino di sequela. Questo combattimento ha come avversario «il peccato che ci assedia» (Eb 12,1); «il diavolo» (Ef 6,11), «il Maligno» (Ef 6,16): in una parola, tutte le forze malefiche, interne o esterne al cristiano, che cercano di ricondurlo alla sua condizione pre-battesimale di idolatra. (…)

La cosa peggiore, nella tentazione, è credere che noi combattiamo da soli. No, Dio ci tende la mano, combatte per noi e con noi. Solo Cristo, che vive in ciascuno di noi, può vincere il male che ci abita, e la lotta spirituale è esattamente lo spazio nel quale la vita di Cristo trionfa sulla potenza del male, del peccato e della morte.

Scriveva Martyrios, un padre siriaco del VII secolo: «La lotta interiore, il combattimento per fare fronte ai pensieri e la guerra contro le passioni, non sono forse tanto duri quanto le guerre esteriori contro i persecutori e le torture fisiche? A me pare che siano ancora più duri, come è vero che Satana è più crudele e malvagio degli uomini malvagi. Finché ci sarà soffio nelle nostre narici, non cessiamo dunque di combattere; non lasciamoci abbattere né mettere in fuga, ma perseveriamo nella lotta contro Satana fino alla morte, per ricevere dal Signore la corona della vittoria, nel giorno della ricompensa».

  • Che cosa conta davvero nella mia vita?

Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno di noi a rispondere ad una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella mia vita?

Nella prima tentazione il diavolo propone a Gesù di cambiare una pietra in pane per spegnere la fame. Gesù ribatte che l’uomo vive anche di pane, ma non di solo pane: senza una risposta alla fame di verità, alla fame di Dio, l’uomo non si può salvare.

Nella seconda tentazione, il diavolo propone a Gesù la via del potere: lo conduce in alto e gli offre il dominio del mondo; ma non è questa la strada di Dio: Gesù ha ben chiaro che non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore.

Nella terza tentazione, il diavolo propone a Gesù di gettarsi dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme e farsi salvare da Dio mediante i suoi angeli, di compiere cioè qualcosa di sensazionale per mettere alla prova Dio stesso; ma la risposta è che Dio non è un oggetto a cui imporre le nostre condizioni: è il Signore di tutto.

Dunque, qual’è il nocciolo delle tre tentazioni che subisce Gesù? È la proposta di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere sé stessi al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza e facendolo sembrare superfluo. Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? È Lui il Signore o sono io?

Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo.

“Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio. Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei.

Le prove a cui la società attuale sottopone il cristiano, infatti, sono tante, e toccano la vita personale e sociale. Non è facile essere fedeli al matrimonio cristiano, praticare la misericordia nella vita quotidiana, lasciare spazio alla preghiera e al silenzio interiore; non è facile opporsi pubblicamente a scelte che molti considerano ovvie, quali l’aborto in caso di gravidanza indesiderata, l’eutanasia in caso di malattie gravi, o la selezione degli embrioni per prevenire malattie ereditarie. La tentazione di metter da parte la propria fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita.

Per la vita

«C’è all’orizzonte un persecutore insidioso: un nemico che lusinga, non flagella la schiena, ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni, ma ci fa ricchi; non ci imprigiona spingendoci verso la libertà, ma ci onora nel palazzo spingendoci alla schiavitù; non ci stringe i fianchi con catene, ma vuole il possesso del nostro cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro, il potere, il successo, i primi posti nella società».

Ilario di Poitiers (ca. 315-367)

3 Marzo 2017

About Author

Gianni De Luca Nasce in Abruzzo, a Tagliacozzo in provincia dell'Aquila. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale, si trasferisce a Roma, dove, attualmente, vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio lavora due anni in Revisione e Certificazione dei bilanci prima di iniziare a collaborare con uno Studio associato di Dottori Commercialisti della Capitale. Decide, ad un certo punto, di seguire la nuova via che gli si è aperta e, così, consegue prima il Magistero in Scienze Religiose presso l'Istituto Mater Ecclesiae e, poi, la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Urbe "Angelicum". Attualmente lavora come Insegnante di Religione cattolica negli Istituti di Istruzione superiore di Roma. Appassionato di Sacra Scrittura, tiene conferenze, anima da circa 20 anni un incontro biblico, presso l'Istituto M. Zileri delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore in Roma, e da circa 10 la Lectio divina sulle letture della Domenica presso la Basilica parrocchiale di Sant'Andrea delle Fratte. Animatore del gruppo di preghiera "I 5 Sassi", è organizzatore di pellegrinaggi e ritiri spirituali.


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