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Solennità dell’Ascensione di nostro signore Gesù Cristo
a2, Solennità e Feste

Solennità dell’Ascensione di nostro signore Gesù Cristo

Letture: Atti 1,1-11; Ef 1,17-23; Mt 28, 16-20

Commento esegetico-teologico

La prima lettura è forse la più caratteristica della liturgia odierna. Essa riporta l’inizio del secondo libro di Luca. Richiamandosi alla sua prima opera, il Vangelo, in cui ha trattato «di tutto quello che Gesù fece e insegnò, dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelto nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo», Luca riprende la narrazione a partire dalla risurrezione di Gesù, informandoci che per quaranta giorni egli apparve ancora visibilmente ai suoi, discorrendo del Regno di Dio. Un argomento di cui aveva parlato molte volte con i discepoli, ma ora, dopo che il regno di Dio incomincia a delinearsi più chiaramente, era più facile trattare del suo significato, del suo aspetto terreno ed escatologico.

Tuttavia l’interrogazione che essi gli rivolgono, «Signore, è questo il tempo in cui restituirai il regno di Israele?», mostra che c’è ancora molta confusione; anche se la domanda non va intesa come una meschina richiesta di restaurazione politica, ma come un’ansia perché presto appaia vittorioso il regno di Dio.

Gesù li invita a rispettare «i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta»: promette loro lo Spirito Santo e raccomanda di non allontanarsi da Gerusalemme; poi si sottrae ai loro occhi. Gli angeli interpreti, come già alla tomba, servono a spiegare il senso dell’avvenimento.

Nell’insieme, Luca non vuole tanto accontentare la nostra curiosità sulle modalità del fatto, quanto guidarci alla comprensione del mistero dell’esaltazione di Cristo. «In Cristo asceso al cielo la nostra umanità è elevata accanto a Dio», preghiamo nella orazione colletta; il Salmo responsoriale è la nostra acclamazione al Cristo che sale al Padre. Ora, in lui nostro capo e fratello, possiamo sperare anche noi di raggiungere la patria celeste.

La seconda lettura completa bene la prima. Paolo invita i fedeli di Efeso a riflettere sul significato salvifico dell’ascensione al cielo; anzi invoca il Padre, Dio del Signore Nostro G. C., a voler loro concedere la grazia della sapienza, perché lo possano approfondire.

Il Verbo incarnato siede alla destra del Padre, sopra ogni principato e autorità, potenza o dominazione (forse a Efeso certe! correnti esaltavano indebitamente questi esseri, fino a sminuire la superiorità di Cristo): tutto è sotto i suoi piedi; la Chiesa è come il suo corpo, la sua pienezza. E’ difficile trovare un’immagine che dica meglio la mistica unione di Cristo e della Chiesa.

Di fronte al Cristo che sale al cielo il cristiano è invitato a comprendere la speranza cui è chiamato, il tesoro di gloria che lo attende quale sua «eredità fra i santi». Proprio così: la gloria cui andiamo incontro è essenzialmente comunitaria, e proprio per questo essa costituisce di per sé stessa una felicità: «gioia partecipata, gioia raddoppiata». Questo è un ideale per la vita della Chiesa già su questa terra.

II brano di Vangelo narra l’apparizione di Gesù ai discepoli secondo la tradizione di Matteo. Può stupire l’affermazione «alcuni dubitavano», se si pensa che siamo dopo le apparizioni avvenute a Gerusalemme, assente e poi presente Tommaso! Non dimentichiamo che questa è l’unica apparizione ai discepoli narrata da Matteo. Forse, in essa egli ha voluto introdurre un elemento verificatosi nelle apparizioni precedenti, cioè che gli apostoli ebbero una certa difficoltà a riconoscere Gesù, che dopo la risurrezione aveva un aspetto diverso da prima. Matteo sottolinea soprattutto il mandato di Gesù ai suoi e la promessa di essere con loro fino alla fine del mondo. È cessato un certo tipo di incontri con il risorto, ma continua la mistica presenza.

Messaggio di questa Domenica

Il brano degli Atti degli apostoli che ci viene proposto ci riporta le ultime parole rivolte da Gesù ai suoi prima di lasciarli definitivamente per ascendere al cielo col suo corpo. La sua ultima raccomandazione è quella di non perdere l’occasione che sarà loro offerta di “ricevere il battesimo nello Spirito”.

Gesù si riferisce evidentemente alla discesa dello Spirito a Pentecoste, quando come lingue di fuoco Egli si materializzò sul capo di ciascuno di loro.

Che cosa è questo battesimo di cui Gesù parla, che viene dopo il battesimo di pentimento e conversione che Giovanni aveva impartito a Gesù stesso e a tanti giudei sulle rive del Giordano? Quest’ultimo era una preparazione, come Giovanni dice di sé: “voce di uno che grida nella strada: preparate la strada al Signore!” Il battesimo di Giovanni era cioè la presa di coscienza che da soli non bastiamo a salvarci, che siamo fragili, peccatori e incapaci di trovare con le sole nostre forze il bene che Dio ha preparato per noi. Questo è il battesimo “con acqua” di cui parla Gesù ai discepoli. È un battesimo indispensabile, perché senza una coscienza umile di sé, senza la convinzione del proprio bisogno profondo di essere salvati dal Signore non sappiamo dove andare e cosa cercare.

Ma da solo questo battesimo non basta. Una volta preparata la strada al Signore, infatti, c’è bisogno di incamminarsi verso di lui e d’incontrarlo. È questo incontro il battesimo “in Spirito santo” di cui Gesù parla. È attraverso lo Spirito infatti che Gesù continua a restare presente in mezzo a noi, non più con il suo corpo, come al tempo degli apostoli, ma con la sua forza trasformatrice e benevola, con la parola che scalda il cuore e apre squarci di comprensione della nostra vita, con l’esempio di chi ha fede il lui, con le vicende a volte straordinarie della storia dell’umanità, insomma con le infinite e multiformi manifestazioni del suo Spirito.

Oggi la Chiesa festeggia e gioisce per la solennità l’Ascensione di Gesù. Perché festeggiare una separazione? Perché dopo che il Signore ha compiuto la volontà del Padre vivendo fra gli uomini, morendo per loro e risorgendo il terzo giorno, per incontrarlo non c’è più bisogno di trovarsi per le strade della Palestina ma in ogni angolo del mondo possiamo averlo accanto vivo e vicino nel suo Spirito santo.

Quella che era stata l’esperienza straordinaria di un pugno di uomini in un angolo di mondo infatti diviene con l’Ascensione una possibilità per tutti, nei luoghi più sperduti e nelle situazioni meno adatte, dove tutto sembra negare la presenza di Dio lo Spirito entra e rende Dio presente e operante nella misericordia e nell’amore.

Ma tutto ciò non avviene per magia. È quello che credono gli apostoli alle parole di Gesù: “Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?».” Gli undici cioè pensano: da ora in poi Dio farà tutto lui, il suo Regno si stabilirà e tutto andrà a posto. Non è questo però il piano di Dio: non scavalca l’uomo, non lo rende un inutile spettatore, ma il protagonista della storia della salvezza:

“Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».”

Cioè il Signore afferma che nulla avverrà senza che loro stessi se ne facciano i promotori in prima persona. Dio manda lo Spirito, cioè suscita una nuova vita dentro il cuore di chi lo accoglie, gli dona i sentimenti e le parole giuste, ma poi sarà lui a rendere concreta la sua presenza lì dove ancora non c’è, nelle vite di chi ancora non lo ha incontrato.
Anche noi ci chiediamo allora oggi: abbiamo accolto il battesimo di Giovanni, siamo cioè coscienti fino in fondo del nostro bisogno di incontrare Gesù per salvarci? Ma poi, una volta ricevuto l’invito del Battista, ci siamo incamminati verso il Signore per incontrarlo e riceverne lo Spirito?

La risposta è relativamente facile: la si vede se lo Spirito, che è l’amore di Dio, è, a nostra volta, da noi trasmesso ad altri, se ci facciamo cioè testimoni e annunciatori di quella salvezza che Gesù ci ha fatto conoscere, dell’amore che ci ha fatto sperimentare. Egli infatti prima di partire ha lasciato un mandato chiaro ed esplicito, valido per tutti: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Lui è con noi fino alla fine del mondo, ma noi stiamo con lui, la nostra vita è Parola di Dio vissuta, chi ci vede intuisce la forza di uno Spirito che il mono non ha e non conosce, come dice il Vangelo di Giovanni?

Sono le domande che la festa dell’Ascensione ci pone. Sono le domande che l’avvicinarsi della Pentecoste fanno sorgere al nostro cuore. Preghiamo allora perché non restiamo con gli occhi sospesi a guardare il vuoto, come gli apostoli dopo che Gesù salì al cielo, ma, obbedendo alla parola dell’angelo, anche noi ci guardiamo attorno scoprendo lì, fra la gente che ci circonda e nelle realtà in cui viviamo il luogo in cui continuare a cercare Gesù, ad incontrarlo vivo e a testimoniarne a tanti la forza d’amore e di perdono.

Per la vita

Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo

Dai «Discorsi» di Sant’Agostino, vescovo (Disc. sull’Ascensione del Signore, ed. A. Mai, 98, 1-2; PLS 2, 494-495)

Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore.
Ascoltiamo l’apostolo Paolo che proclama: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso.
Cristo ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo sentire quel grido: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9, 4). E così pure: «Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» (Mt 25, 35).

Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l’amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13).

Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l’unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell’uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui.
Così si esprime l’Apostolo parlando di questa realtà: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor 12,12). L’Apostolo non dice: «Così Cristo», ma sottolinea: «Così anche Cristo».

Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo.

Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l’unità del corpo non sia separata dal capo.

26 Maggio 2017

About Author

Gianni De Luca Nasce in Abruzzo, a Tagliacozzo in provincia dell'Aquila. Dopo avere conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale, si trasferisce a Roma, dove, attualmente, vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio lavora due anni in Revisione e Certificazione dei bilanci prima di iniziare a collaborare con uno Studio associato di Dottori Commercialisti della Capitale. Decide, ad un certo punto, di seguire la nuova via che gli si è aperta e, così, consegue prima il Magistero in Scienze Religiose presso l'Istituto Mater Ecclesiae e, poi, la Licenza in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino in Urbe "Angelicum". Attualmente lavora come Insegnante di Religione cattolica negli Istituti di Istruzione superiore di Roma. Appassionato di Sacra Scrittura, tiene conferenze, anima da circa 20 anni un incontro biblico, presso l'Istituto M. Zileri delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore in Roma, e da circa 10 la Lectio divina sulle letture della Domenica presso la Basilica parrocchiale di Sant'Andrea delle Fratte. Animatore del gruppo di preghiera "I 5 Sassi", è organizzatore di pellegrinaggi e ritiri spirituali.


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