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Il Papa Francesco scrive la prefazione dell’ultimo libro del polemico ‘apostolo LGTB’ James Martin: «Dobbiamo essere molto grati»
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Il Papa Francesco scrive la prefazione dell’ultimo libro del polemico ‘apostolo LGTB’ James Martin: «Dobbiamo essere molto grati»

Nuovo cenno di Papa Francesco al polemico e controverso James Martin.

Il soprannominato ‘apostolo LGTB’ ha nuovamente ottenuto da Francesco un gesto quanto meno sconcertante. Nonostante lo scandalo che giorno dopo giorno provoca questo sacerdote gesuita statunitense, James Martin, con i suoi messaggi e scritti polemici in difesa della lobby LGTB e dell’omosessualità attiva, Papa Francesco gli ha appena offerto il suo sostegno scrivendo la prefazione del suo ultimo libro intitolato «Lazzaro, vieni fuori!»

Secondo Francesco, «dobbiamo essere molto grati a padre James Martin, i cui altri scritti conosco e apprezzo». Forse Francesco difende con questa affermazione gli scritti e i postulati ultraprogressisti, eterodossi e anticattolici di questo sacerdote? L’affermazione del Pontefice lascia pochi dubbi al riguardo.

Vi offriamo la prefazione del libro del apostolo James Martin completa scritta da Papa Francesco:

Dobbiamo essere molto grati a padre James Martin, i cui altri scritti conosco e apprezzo, per questo suo nuovo libro dedicato a quello che lui chiama «il più grande miracolo di Gesù»: la storia della resurrezione di Lazzaro. Ci sono diverse ragioni per essergli grati, strettamente legate al modo in cui ha scritto questo testo brillante, appassionante e mai prevedibile.

In primo luogo, Padre James lascia parlare il testo biblico: lo esamina con lo sguardo e lo studio di diversi autori che hanno analizzato a fondo questa pagina biblica, cogliendone i vari aspetti, i diversi accenti, le diverse interpretazioni. Ma questo studio è sempre «amoroso», mai distante né freddamente scientifico: è lo sguardo di chi è innamorato di ciò che è la Parola di Dio, il racconto dei fatti del Figlio di Dio, Gesù. La lettura di tutti gli argomenti e gli esami di biblisti che racconta padre Martin mi ha fatto chiedere fino a che punto siamo capaci di avvicinarci alla Scrittura con la «fame» di chi sa che quella parola è veramente e effettivamente la Parola di Dio.

Che Dio «parli» dovrebbe farci tremare sui nostri posti ogni giorno. Perché davvero la Bibbia è il nutrimento di cui abbiamo bisogno per affrontare la nostra vita, rappresenta la «lettera d’amore» che Dio invia da secoli agli uomini e alle donne di tutti i tempi e luoghi. Conservare la Parola, amare la Bibbia, portarla con noi ogni giorno con un piccolo Vangelo in tasca, magari cercarla anche sul cellulare quando abbiamo un incontro importante, un appuntamento delicato, un momento di disperazione… tutto questo ci farà rendere conto di quanto la Scrittura sia un corpo vivo, un libro aperto, una testimonianza palpitante di un Dio che non è morto e sepolto sugli scaffali polverosi della storia, ma che cammina sempre con noi, anche oggi. Anche per te, che ora apri questo libro intrigato dal racconto di una storia che molti conoscono, ma che pochi hanno compreso nel suo significato profondo e completo.

Inoltre, in queste pagine vediamo una verità del cristianesimo sempre attuale e feconda: il Vangelo è eterno e concreto, riguarda sia la nostra vita interiore che la storia e la vita quotidiana. Gesù non solo ha parlato della vita eterna, ma l’ha data. Non si è limitato a dire «Io sono la resurrezione», ma ha anche resuscitato Lazzaro, che era morto da tre giorni. La fede cristiana è la compenetrazione sempre presente dell’eterno e del contingente, del cielo e della terra, del divino e dell’umano. Mai l’uno senza l’altro. Se fosse solo «terreno», cosa la distinguerebbe da una buona filosofia, da un’ideologia strutturata, da un pensiero articolato che rimane solo tale, da una teoria che resta estranea al tempo e alla storia? E se il cristianesimo trattasse solo del «dopo», solo dell’eternità, sarebbe un tradimento della scelta che Dio ha fatto, una volta per tutte, impegnandosi con tutta l’umanità. Il Signore non si è incarnato come una pretesa, ma ha scelto di entrare nella storia umana affinché la storia degli uomini si configuri come il Regno di Dio, il tempo e il luogo in cui germoglia la pace, si sostanzia la speranza e l’amore dà la vita.

Lazzaro, infine, siamo tutti noi. Il padre Martin, in questo aspetto aderente alla tradizione ignaziana, ci fa identificare con la storia di questo amico di Gesù. Anche noi siamo suoi amici, anche noi siamo, a volte, «morti» a causa del nostro peccato, delle nostre carenze e infedeltà, dello scoraggiamento che ci abbatte e ci schiaccia l’anima. Ma Gesù non ha paura di avvicinarsi a noi, anche quando «puzziamo» come un morto sepolto da tre giorni. No, Gesù non ha paura della nostra morte né del nostro peccato. Si ferma solo davanti alla porta chiusa del nostro cuore, quella porta che si apre solo dall’interno e che chiudiamo a doppia mandata quando pensiamo che Dio non possa più perdonarci. E invece, leggendo l’analisi dettagliata di James Martin, si tocca il senso profondo del gesto di Gesù davanti a un morto che è «morto», che emana cattivo odore, metafora della putrefazione interiore che il peccato genera nelle nostre anime. Gesù non ha paura di avvicinarsi al peccatore, a qualsiasi peccatore, anche al più impavido e sfacciato. Ha solo una preoccupazione: che nessuno si perda, che nessuno perda l’opportunità di sentire l’abbraccio amoroso del Padre. Uno scrittore statunitense, scomparso nel 2023, ha lasciato una mirabile descrizione di ciò che è «l’opera di Dio». Cormac McCarthy, romanziere, faceva parlare così uno dei suoi personaggi in uno dei suoi libri: «Diceva di credere in Dio anche se dubitava della pretesa umana di conoscere i pensieri di Dio. Ma un Dio incapace di perdonare non sarebbe nemmeno Dio». Sì, effettivamente lo è: il lavoro di Dio è perdonare.

Infine, le pagine di padre James Martin mi hanno ricordato una frase di un biblista italiano, Alberto Maggi, il quale, parlando del testo del miracolo di Lazzaro, commentò: «Con questo miracolo Gesù ci ha insegnato non tanto che i morti resuscitano, ma che i vivi non muoiono! Che bella definizione piena di paradossi! Certo che i morti resuscitano, ma che verità ricordarci che noi, i vivi, non moriamo! Certamente la morte arriva, la morte ci colpisce, non solo la nostra, ma soprattutto quella dei nostri cari e familiari, di tutte le persone: quanta morte vediamo intorno a noi, ingiusta e dolorosa, perché causata dalle guerre, dalla violenza e dalla sopraffazione di Caino su Abele. Ma l’uomo e la donna sono destinati all’eternità.

Tutti lo siamo. Siamo una semiretta, per usare un’immagine geometrica: abbiamo un punto di partenza, la nostra nascita umana, ma la nostra vita è dedicata all’infinito. Sì, all’infinito. E ciò che la Scrittura chiama «vita eterna» è quella vita che ci aspetta dopo la morte e che possiamo già toccare qui quando la viviamo non nell’egoismo che ci rattrista, ma nell’amore che allarga il nostro cuore. Siamo fatti per l’eternità. Lazzaro, grazie a queste pagine di padre Martin, è nostro amico. E la sua resurrezione ce lo ricorda e lo attesta.

3 Giugno 2024

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