Letture: At 6, 1-7; I Pt 2, 4-9; Gv 15, 1-8.
Commento esegetico-teologico
La lettura del Vangelo è tratta dal discorso di Gesù all’Ultima Cena. Egli ha appena annunciato il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la sua partenza da questo mondo. Il quadro, umanamente parlando, non è sereno, ma Gesù non vuole che i suoi si turbino: li invita ad avere fede in Dio e in Lui.
Il tema della fiducia in Dio e nei suoi inviati è frequente nella Bibbia, Abramo, Mosè i profeti; cfr. Gen l5, 1; Es 14, 13; Is 7,4 ecc.. Nel regno escatologico del Padre c’è un posto per tutti; e nel Signore Gesù sta la nostra fiducia di poterlo raggiungere. Il discorso del Maestro è interrotto da Tommaso e poi da Filippo, il che dà occasione a ulteriori spiegazioni.
Solo lui, Gesù, è la via al Padre, la verità e la vita. A Filippo che chiede di vedere Dio, il massimo desiderio per un pio israelita, e che sogna forse qualche manifestazione divina come quella del Sinai, Gesù risponde che la domanda è già esaudita nella sua divina persona che gli sta davanti.
Chi nella fede aderisce al Cristo-Dio vede il Padre; nella sua opera vede quella del Padre, perché egli è nel Padre, e il Padre in lui. Noi adoriamo questo profondo mistero del Padre e del Figlio uniti nella natura e nelle operazioni, distinti nella persona: il Padre che tutto possiede come donante, il Figlio che tutto possiede come ricevuto dal Padre.
Quali sono le opere «più grandi» che compiranno e vedranno quanti credono in lui? Forse l’opera della Chiesa, che mirabilmente si espande nel mondo vincendo il potere del nemico.
Nella prima lettura assistiamo a una scena di vita della Chiesa primitiva. Di fronte a certe difficoltà insorte, i Dodici convocano i discepoli e decidono di aggregare un primo gruppo di sette uomini, pieni di Spirito e di sapienza, per l’incarico di amministrare i beni, riservando a sé la preghiera e la predicazione della Parola.
C’è qui un primo accenno al conferimento dei ministeri istituiti da Cristo e trasmessi nella Chiesa a servizio dei fedeli: presiedere l’azione sacra e predicare la Parola sono i principali.
Oggi i ministeri sono esercitati in modo eminente, e tutto proprio, da quanti sono a ciò consacrati, sacerdoti, vescovi e diaconi. Ma non è da credere che i fedeli siano esclusi dai ministeri; lo dimostra la seconda lettura.
S. Pietro afferma che Cristo è la pietra angolare, su cui gli increduli inciampano; ma è fondamentale per la costruzione del suo edificio spirituale. Tutti i fedeli, insegna ancora l’Apostolo, sono una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa. In forza del battesimo ogni cristiano partecipa al sacerdozio di Cristo, concorre alla costruzione dell’edificio, offre sacrifici spirituali: la preghiera; la mortificazione; la partecipazione ai santi sacramenti, al sacrificio eucaristico, che anche i fedeli offrono in unione al sacerdote ministeriale, alla catechesi, se autorizzati, la distribuzione della santa Comunione, l’assistenza agli ammalati ecc. «Non vi è nessun membro che non abbia parte alla missione di tutto il Corpo; ma ciascuno di essi deve santificare Gesù nel suo cuore (I Pt 3, 15), e rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia», dice il Vaticano II (PO n. 2).
Quale e quanto posto vi è dunque per i laici nella Chiesa, troppo sovente lasciato vuoto da chi si accontenta di partecipare passivamente alla sua vita! Oggi è forse il momento buono di riflettere su questo dovere: per esempio se partecipiamo alla Liturgia attivamente, coscientemente, e fruttuosamente, esercitando il nostro ufficio sacerdotale; se è come esercitiamo il nostro ufficio profetico nella testimonianza della fede, e quello regale nella vittoria sul peccato, nella libertà e nel servizio (cfr. LG nn. 33-36; SC nn. 14-15).
Messaggio di questa Domenica
I brani della Scrittura che ascoltiamo ci presentano una realtà particolarmente importante, ovvero come il cristiano non si possa dire tale per nascita o per tradizione ma solo se risponde quotidianamente ad una vocazione, cioè al modo di vivere a cui Dio lo invita ad aderire. Si può ben dire infatti che nemmeno il battesimo, da solo, può bastare. Sì, è vero, esso imprime un carattere indelebile all’esistenza di chi lo riceve, ma questo carattere deve sempre essere incarnato perché non rimanga una potenzialità inespressa.
Abbiamo ascoltato dal libro degli Atti come gli apostoli si dedicano con intensità all’annuncio della Parola di Dio, cioè a far giungere a più persone possibile l’invito di Gesù a lasciare il vecchio modo di fare ordinario, per assumerne uno nuovo, quello del Vangelo. E sempre dagli Atti vediamo come “la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede”. Quest’ultima notazione sottolinea come anche chi per status sociale e ruolo religioso poteva dirsi già ad un livello elevato, come i sacerdoti, ascoltando l’invito di Gesù “mite e umile di cuore” si chinavano per assumere su di sé il giogo soave di un nuovo modo di essere e di vivere.
Questo deve essere vero anche per noi. Anche a noi infatti, un giorno, un discepolo del Signore ha annunciato il Vangelo, forse quando eravamo piccoli, oppure da grandi. Sì, perché non si è cristiani per nascita e non si eredita la fede come il cognome, dai genitori. La fede affonda le radici in una risposta, cosciente e convinta, ad un invito giunto alla nostra vita dalla voce di un altro cristiano che ci ha preceduto: un catechista, un amico, un testimone…, il quale a sua volta aveva fatto la sua scelta. E poi, certamente, ogni volta che ascoltiamo il Vangelo siamo chiamati a rinnovare la decisione di esserne figli, perché ogni lettura che viene fatta qui in Chiesa si conclude con una domanda implicita: “Questa è la proposta del Signore, vuoi farla tua?”. La risposta è libera, certamente, ma non può essere elusa. Anche non rispondere è una risposta, più precisamente un rifiuto. Per questo possiamo dire che si diventa cristiani ogni domenica ed ogni volta che nella vita concreta siamo messi davanti alla scelta di seguire il Vangelo del Signore o le proposte del mondo.
Se aderiamo alla proposta di Dio, allora il battesimo non rimane più un evento lontano e inutile, ma l’inizio di un tempo nuovo.
A questo proposito l’Apostolo Pietro nel brano della sua lettera che abbiamo ascoltato parla del discepolo come di colui che è come una pietra. In fondo ciascuno di noi si sente affidabile e sicuro di sé come una pietra, capace di giudicare gli altri e di insegnare a vivere. Ma perché questo sia vero non basta avere molta esperienza, come si dice ad esempio degli anziani, o avere avuto successo nella vita. Pietro dice: “Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo.” Ovvero, per essere pietre capaci di costruire un edificio solido e duraturo bisogna appoggiarsi sul Signore come un solido fondamento. Bisogna cioè conformarsi a lui, adattarsi alla sua forma, e non decidere noi cosa ci sembra meglio e più opportuno usare come fondamento su cui costruire. Così la nostra casa verrà su forte e robusta, potrà ospitare tanti ed essere anche d’esempio ad altri. Ma se invece la pietra resta per conto suo, sconnessa dalle altre pietre che formano l’edificio, non è altro che un inciampo, cioè qualcosa che rende più difficoltoso il cammino e pericoloso, per il rischio di scontrarsi con lei e finire, magari, per terra.
Potremmo dire: ma perché bisogna scegliere per il Vangelo e aderire alla proposta che il Signore ci fa, cosa ci aspetta alla fine di questo itinerario? È quello che probabilmente si chiedevano anche gli apostoli che, ascoltando Gesù dire che se ne sarebbe andato via, dubitano del loro futuro. Gesù li rassicura dicendo: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?”
Il Signore cioè ci assicura che c’è un posto che ci attende, che la nostra esistenza ha uno scopo e qualcuno che garantisce per esso, Dio stesso. A noi sta raggiungerlo, incamminarci verso di esso e non perderci lungo le strade che non portano a nulla. Ma il cammino è sicuro, perché è Gesù stesso: ” Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” È Gesù la via, è il suo modo di voler bene, di spendere la vita per gli altri, di non risparmiarsi, di dare tutto se stesso.
È lui l’esempio da seguire e la vita da fare. Scegliamo allora, fratelli e sorelle, per ciò che è duraturo e solido, diveniamo anche noi una pietra solida sulla quale altri si possono appoggiare, ma non per la nostra forza, ma per il fondamento sicuro sul quale abbiamo edificato. Potremo così essere certi che il posto che Dio ci ha preparato non resterà vuoto e che la nostra vita non si perderà su strade che non portano a niente.
Per la vita
Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo dell’odierna domenica, la Quinta di Pasqua, propone un duplice comandamento sulla fede: credere in Dio e credere in Gesù. Il Signore, infatti, dice ai suoi discepoli: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Non sono due atti separati, ma un unico atto di fede, la piena adesione alla salvezza operata da Dio Padre mediante il suo Figlio Unigenito.
Il Nuovo Testamento ha posto fine all’invisibilità del Padre. Dio ha mostrato il suo volto, come conferma la risposta di Gesù all’apostolo Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Il Figlio di Dio, con la sua incarnazione, morte e risurrezione, ci ha liberati dalla schiavitù del peccato per donarci la libertà dei figli di Dio e ci ha fatto conoscere il volto di Dio che è amore: Dio si può vedere, è visibile in Cristo.
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6: Opere Complete, Milano 1998, 1001). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia: «In verità, in verità io vi dico – dice il Signore –: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio» (Gv 14,12).
La fede in Gesù comporta seguirlo quotidianamente, nelle semplici azioni che compongono la nostra giornata. «È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vedere”» (Gesù di Nazareth II, 2011, 306).
Sant’Agostino afferma che «era necessario che Gesù dicesse: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), perché una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta» (Tractatus in Ioh., 69, 2: CCL 36, 500), e la meta è il Padre. Per i cristiani, per ciascuno di noi, dunque, la Via al Padre è lasciarsi guidare da Gesù, dalla sua parola di Verità, e accogliere il dono della sua Vita. Facciamo nostro l’invito di San Bonaventura: «Apri dunque gli occhi, tendi l’orecchio spirituale, apri le tue labbra e disponi il tuo cuore, perché tu possa in tutte le creature vedere, ascoltare, lodare, amare, venerare, glorificare, onorare il tuo Dio» (Itinerarium mentis in Deum, I, 15).
Cari amici, l’impegno di annunciare Gesù Cristo, “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), costituisce il compito principale della Chiesa. Invochiamo la Vergine Maria perché assista sempre i Pastori e quanti nei diversi ministeri annunciano il lieto Messaggio di salvezza, affinché la Parola di Dio si diffonda e il numero dei discepoli si moltiplichi (cfr At 6,7).
BENEDETTO XVI, REGINA CÆLI , Piazza San Pietro, Domenica, 22 maggio 2011
Lascia un commento