LETTURE: 2 Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4,8-11; Mt 10,37-42
Commento esegetico-teologico
Due sono i temi della Parola di Dio, in questa Domenica:
a. Seguire Cristo fino al distacco da tutti e da tutto.
b. Accogliere Cristo nei fratelli.
I due temi hanno un oggetto e un soggetto comune: noi e Cristo. Soffermiamoci sul seguire Cristo.
Ogni adesione a Gesù Cristo è un’avventura segnata dalla croce: è necessario un distacco radicale “per causa mia”, ma, con Lui, si ritrova tutto. Per il discepolo, l’attaccamento a Gesù conduce a spezzare ogni legame che impedisca di lasciare tutto per seguire il Cristo, a partire da ciò che si ha di più caro: i rapporti familiari. L’affetto di un padre, la tenerezza di una madre, la dolce amicizia tra fratelli e sorelle, l’amore per il figlio o la figlia. Tutto questo, pur essendo molto buono e legittimo, non può essere preferito a Cristo.
Intendiamoci: non è che Gesù neghi il valore degli affetti familiari, non è perché egli ci voglia senza cuore, duri come pietre, ma perché la condizione del discepolo esige un rapporto prioritario con il maestro. “Figlio mio, dammi il tuo cuore”, dice il saggio (Prov.23,26). Le parole severe di Gesù, ci fanno riflettere su che cosa significhi essere cristiani. Forse ci stiamo dimenticando di questo, dopo più di 2 mila anni di cristianesimo!
Si tratta di impostare rettamente la vita di ogni cristiano.
Gesù martella per tre volte che chi ama tali persone, non prende la sua croce e non segue Lui, “non è degno di me”. Scegliere Cristo è di importanza capitale, amarlo cioè più delle persone care e delle cose care.
Qui si tratta di fede, come quella di Abramo, disposto a sacrificare per Dio, anche il suo unico figlio della promessa: non si trattava di perdere, ma di trovare. Gesù va scelto e amato più di tutti e di tutto. Passano in secondo ordine rispetto al Signore, tutti i legami di sangue, i vincoli familiari e tutte le altre cose. A questo livello, il Vangelo potrebbe facilmente produrre divisioni e separazioni. Si tratta invece di impostare bene la vita cristiana intorno a Gesù Cristo. Il cristiano è sempre in tensione tra un sì alle esigenze della grazia e un no alle seduzioni della carne, al peso dell’egoismo e della pigrizia. E questo è portare la croce: la croce era intesa come il Tau, segno di appartenenza a Dio (Ez. 9).
Per seguire Gesù bisogna passare per la via stretta, operare dolorosi distacchi; è una revisione totale di tutto ciò che abbiamo e che siamo. Non si tratta di valorizzare la sofferenza in sé e per sé: il fine è la conformazione a Gesù.
Spesso in famiglia ci sono condizionamenti che non favoriscono la libertà di scelta nella sequela del Signore. Troppe sono le scusanti, divertimenti, comodità, vita disordinata, ecc., per non seguire il Signore. Anche nella scelta vocazionale e di consacrazione religiosa della vita!. In questo caso è inutile invocare il IV comandamento, quando i genitori vorrebbero indurre i figli a non seguire Cristo!.
Solo chi lascia tutto, può accogliere tutti. Solo chi muore al proprio egoismo e indifferenza, arriverà ad amare in maniera autentica ed altruistica. La pretesa di Gesù infatti, non significa che non dobbiamo amare quelli che amiamo: ce lo ordina il 4° comandamento di Dio, ma piuttosto che dobbiamo amare Gesù di più, perché Lui ci aiuterà ad amare gli altri “con il suo amore” come ha detto S. Francesco.
Per ogni chiamato alla sequela di Cristo, nel momento in cui egli “prende la sua croce”, l’amore si dimostra sempre a caro prezzo. Lo fu pure per Gesù, quando lasciò Nazareth e sua Madre Maria, avviandosi a Gerusalemme, senza voltarsi indietro. Seguendo Gesù, autenticamente, si può accogliere con cuore nuovo e amore nuovo, quello che abbiamo lasciato.
S. Paolo, nella II Lettura, ci rinfresca la memoria quando scrive: ”Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte…siamo stati sepolti insieme a lui nella morte…così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. S. Paolo non dice, ”camminare in una via”, ma in una “vita nuova”. Per quanti di noi il Battesimo, la Cresima, la prima Comunione, sono state solo delle belle cerimonie, occasioni di incontro con i parenti, momenti propizi per sfoggiare vestiti nuovi, ricevere regali, una bella mangiata al ristorante con spreco di soldi, in ossequio al consumismo e alla bella figura da fare, seppellendo il sacro nel profano e dimenticandoci degli impegni ben precisi dichiarati con i padrini, sulla vita cristiana da vivere?! Gesù non accetta mezzi termini quando accenna di amare Lui più di tutti e di tutto, e di seguirlo portando la croce.
La storia di molti Santi e Martiri è piena di lacerazioni drammatiche tra genitori e figli.
S. Barbara fu consegnata al carnefice dal padre infuriato, perché si era fatta battezzare di nascosto!
S. Francesco d’Assisi, per seguire Cristo povero, si mise contro suo padre Pietro Bernardone.
S. Felicita, interrogata dal carceriere come avrebbe potuto avere il coraggio di divenire pasto delle belve, rispose: ”Dentro di me, vi sarà un Altro che patirà per me, perché io mi dispongo a morire per Lui..”
Certo, il Vangelo ci mette in crisi per forza, quando dice: ”Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me! Vivere la vita cristiana con coerenza, è la misura del nostro “seguire Cristo”. Pensiamo ai tanti “cattolici” che in materia di divorzio, di aborto, ecc. si comportano come “liberi battitori”, adeguandosi comodamente alla mentalità dominante, non più “cristiana”!
Il resto sono chiacchiere che lasciano Dio del tutto indifferente, anzi lo indispongono, ricordandoci quel detto di Gesù: ”Non chi dice: Signore, Signore”.. con quel che segue!.
Amare davvero Cristo comporta accettare con coraggio la croce quotidiana e accogliere quelle persone che vengono nel suo nome. In questa epoca in cui si parla tanto di pluralismo, il cristiano non abbia paura di mostrarsi ”discepolo di Cristo”. Ci sono dei momenti in cui si diventa “segno”. Quando la miseria, la violenza subita, il dolore, bussano alla porta del fratello che ha bisogno di me, di te, non possiamo stare a guardare soltanto, se siamo cristiani davvero!
Il segreto di tutto è la formuletta di S. Paolo, quando scrive:” Vivere per Dio, in Cristo Gesù”. Questa è la strada di Dio, dei seguaci di Cristo e dei Santi. Ci aiuti la Vergine Santa.
Messaggio di questa Domenica
Seguire Cristo è accettare la croce. Nella lettera ai Romani Paolo non descrive soltanto un rito sacramentale: il gesto del rito è segno e iniziazione ad uno stato di esistenza battesimale. Il cristiano prolunga, in ogni momento della sua vita, il significato e la realtà del battesimo, nel dinamismo pasquale di morte-risurrezione. Egli muore, ogni momento, al peccato, all’egoismo, alla carne, all’uomo vecchio, per risorgere alla vita nuova di amore e di grazia, allo Spirito, all’uomo nuovo. Alla base dell’esistenza cristiana c’è, quindi, una tensione dialettica, un conflitto tra un sì alle esigenze della grazia, agli appelli incessanti dello Spirito, e un no alle seduzioni della carne, al peso dell’egoismo e della pigrizia. E tutto questo è croce. Prendere la croce, operare dolorosi distacchi, perdere la propria vita (vangelo), sono sinonimi di morte al peccato e di apertura agli appelli della grazia. Il cristianesimo « pasquale» non è sinonimo di facilità e di fuga dalla sofferenza. Lo splendore del mattino di Pasqua è sempre preceduto dalle tenebre del Venerdì santo… Per seguire Gesù bisogna passare inevitabilmente per la via stretta. Ma è solo percorrendo questa via che si giunge alla vita, come soltanto chi avrà gettato la sua vita per Cristo la ritroverà.
Come l’accettazione della croce è condizione essenziale per seguire il Signore, così accogliere gli altri (siano gli apostoli, come i poveri e i piccoli) con generosa ospitalità, è segno di fedeltà al comandamento nuovo dell’amore fraterno senza frontiere. Non solo l’accoglienza del compagno, del familiare o dell’amico — i pagani non fanno forse altrettanto? — ma l’accoglienza del forestiero, del lontano, del povero, di colui che non può ricambiare. Un’accoglienza che invita alla rinuncia, alla disponibilità, alla gratuità, perché vede nell’ospite, nel forestiero, nel povero specialmente, il divino Forestiero che non ha una pietra dove posare il capo (Mt 8,20). Nell’affamato, nell’assetato, nel pellegrino, nell’ignudo, nell’ammalato, nel prigioniero.., è sempre Gesù che bussa alla porta del cristiano e chiede ospitalità e aiuto (Mt 25,35-36)
Accoglienza fatta di dialogo e di simpatia. Ma l’accoglienza e l’ascolto si manifestano e ci interpellano anche in altre situazioni: nell’attenzione all’altro, nella capacità di dialogo, nello sforzo di « comprendere » le ragioni dell’altro. È un atteggiamento, una disposizione di fondo che sa accogliere senza spirito ipercritico, senza animo diffidente e sospettoso, ma con attenzione ed amore i gesti e gli interventi del Magistero, anche se ne vediamo i limiti o gli aspetti manchevoli; sa ascoltare e « non spegnere » lo Spirito che si manifesta in certi movimenti ecclesiali, che anima gruppi e istituzioni dei quali non condividiamo le scelte o i metodi; fa più assegnamento sulle persone che sull’organizzazione e sull’istituzione
Ospitalità: misura del nostro cristianesimo. Presso gli antichi l’ospitalità era sacra. Ancora oggi, presso i popoli poveri, l’ospite è accolto e rispettato con spontaneità ed umanità. I poveri si aiutano e spartiscono volentieri il poco che hanno. Oggi, specialmente nei paesi ricchi ed opulenti dell’Occidente, lo straniero è considerato come un intruso; l’ospitalità si pratica ancora, ma condizionata dall’interesse; è diventata un’industria, una sorgente di guadagno. Il turista è ricevuto perché porta valuta pregiata e quindi ricchezza.
Anche i lavoratori stranieri, gli immigrati da altre regioni della stessa nazione trovano posto nella nostra società in quanto forniscono la mano d’opera di cui si ha bisogno. Ma più che «accolti» sono spesso « sopportati » come un male necessario, come uno scotto da pagare. In molti casi vivono in ghetti, in situazioni infraumane, con condizioni di lavoro spesso ingiuste. E quando la loro presenza comincia a mettere in pericolo la sicurezza delle regioni ospitanti, o compromette i privilegi acquisiti, allora lo straniero viene riaccompagnato alla frontiera…Comunque resta vero (e per i cristiani dev’essere un motivo di un serio esame di coscienza!) che l’ospitalità, il senso dell’accoglienza, è uno dei segni per misurare la reale fedeltà al vangelo delle nostre comunità cristiane. Le manifestazioni xenofobe, i gesti di intolleranza nei confronti degli stranieri rivelano il volto anticristiano e antievangelico di comunità apparentemente cristiane e praticanti.
Per la vita
Noi predichiamo Cristo a tutta la terra
Dai «Discorsi» di Paolo VI, Papa (Manila, 29 novembre 1970)
«Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16). Io sono mandato da lui, da Cristo stesso per questo. Io sono apostolo, io sono testimone. Quanto più è lontana la meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è l’amore che a ciò mi spinge. Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (cfr. Mt 16, 16). Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito d’ogni creatura (cfr. Col 1, 15). È il fondamento d’ogni cosa (cfr. Col 1, 12). Egli è il Maestro dell’umanità, e il Redentore. Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita. Egli è l’uomo del dolore e della speranza. E’ colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, come noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità. Io non finirei più di parlare di lui. Egli è la luce, è la verità, anzi egli è «la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6). Egli è il pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete, egli è il pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello. Come noi, e più di noi, egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore e paziente nella sofferenza. Per noi egli ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo, dove i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di cuore e i piangenti sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono rivendicati, dove i peccatori possono essere perdonati, dove tutti sono fratelli.
Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare, anzi voi, la maggior parte certamente, siete già suoi, siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo annunzio: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega. Egli è il re del nuovo mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore, il ponte fra la terra e il cielo; egli è per antonomasia il Figlio dell’uomo, perché egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne, sua madre nella carne, madre nostra nella partecipazione allo Spirito del Corpo mistico.
Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annunzio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli.
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