La Chiesa Cattolica è, per definizione, universale. Fin da piccoli ci insegnano: «una fede, una liturgia, una Chiesa». Suona bene, vero? Un corpo mistico unito nell’adorazione di Dio, dove i fedeli, indipendentemente da Paese, lingua o cultura, condividono le stesse credenze e praticano la stessa liturgia. Un ideale splendido, se non fosse che spesso la realtà è molto diversa. A volte, sembra che l’unica vera “universalità” della Chiesa sia quella di sottostare ai capricci del parroco del momento.
Quell’idea che la liturgia debba essere uniforme e rispettosa della tradizione è meravigliosa. Ma basta andare in una qualsiasi parrocchia per trovarsi di fronte a un festival di improvvisazioni. In una diocesi si può ricevere la comunione sulla lingua, nella diocesi vicina ti guardano male se ci provi. In una parrocchia il sacerdote rispetta scrupolosamente la consacrazione, mentre in un’altra sembra aver frequentato un corso di “come essere originali durante la messa”.
Ricevere la comunione: Un protocolo che cambia?
Ad esempio, prendiamo la comunione: per alcuni parroci, riceverla sulla mano o sulla lingua non è solo una questione di scelta personale, ma un “protocollo liturgico” che cambia più del clima. In una cattedrale ti inginocchi e ricevi la comunione sulla lingua come si è sempre fatto; in un’altra ti obbligano a stare in piedi e a stendere la mano come se stessi chiedendo il pane in una fila al supermercato. E se provi a fare diversamente, ti aspetta una reprimenda pubblica.
Un altro capitolo degno di nota riguarda la consacrazione. Sappiamo che il Concilio Vaticano II ha introdotto alcuni cambiamenti nella liturgia, ma sembra che certi sacerdoti abbiano preso questo come un lasciapassare per trasformare la messa nel loro show personale. Un amico mi raccontava che nella sua parrocchia il sacerdote ha deciso un giorno che il modo tradizionale di consacrare non fosse abbastanza “moderno”, iniziando ad aggiungere e togliere parole a piacimento.
L’essenza della fede
No, caro lettore, non è solo un dettaglio tecnico. Qui si parla dell’essenza stessa della fede. Se la Chiesa è universale, come può essere che una stessa liturgia cambi tanto da una parrocchia all’altra? Come è possibile che i fedeli debbano chiedere, come se fosse il menu del giorno, se in quella messa potranno ricevere la comunione sulla lingua?
Alla fine, sembra che l’universalità sia riservata alle grandi dichiarazioni dottrinali, quelle che riempiono encicliche e documenti vaticani. Nella pratica, invece, l’universalità si dissolve in una cacofonia di preferenze personali e trovate creative. E che cosa rimane di questa Chiesa universale? Resta un sentimento di confusione, una sensazione che la fede non sia così salda né unificata come ci era stato insegnato.
Forse è il momento di ricordare ai nostri pastori che la liturgia non è un campo per l’improvvisazione o per i gusti personali. Se la Chiesa Cattolica vuole continuare a essere veramente universale, deve garantire che anche la sua liturgia lo sia. Altrimenti, l’unica universalità che ci rimane è quella della nostra pazienza, messa alla prova ogni volta che andiamo a messa.
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