Chi ha occhi per vedere noterà che, da qualche anno a questa parte, il Mondo (nel suo senso teologico) ha fretta di imporre il suo pensiero unico all’ultimo angolo della terra e i mezzi per raggiungerlo: si negano crediti e aiuti ai Paesi che si rifiutano di imporre l’aborto libero, l’ideologia gender, la glorificazione della setta LGTBI, il femminismo radicale, si arruolano le multinazionali per promuoverlo, i media per ripetere instancabilmente il messaggio.
Ma il successo di questa impresa diabolica sarà sempre limitato se la Chiesa cattolica, la principale autorità morale del mondo, si opporrà a queste mode ideologiche.
E anche se l’establishment ecclesiastico è nelle mani di gerarchi più che aperti a collaborare con il mondo, c’è un problema evidente: il messaggio della Chiesa è rivelato, non dedotto o concordato, e chiaramente cambiare la dottrina equivale a distruggere l’intero edificio.
Ed è qui che entra in gioco la “pastorale”. Si sa: il tempo è più grande dello spazio e la realtà è più grande dell’idea e l’importante è “aprire i processi”. La pastorale viene sempre più proposta, non come applicazione della dottrina al caso concreto, ma in opposizione dialettica a quella dottrina, senza bisogno di negarla. Poi il tempo e la consuetudine cambieranno la dottrina in senso “pastorale”, almeno agli occhi dei fedeli: lex vivendi, lex credendi.
Lo vediamo letteralmente ovunque, e da prima di questo pontificato. Nessun documento magisteriale ha abolito, né potrebbe abolire, il dogma che non c’è salvezza al di fuori della Chiesa. Non ce n’è bisogno: si impone l’esigenza ecumenica e pastorale del “dialogo” e, tra non molto, nel gregge non rimarrà quasi nessuno che ricordi o creda al dogma in questione. La liturgia eucaristica viene banalizzata e alla fine scopriamo che, ad esempio, tre cattolici su quattro negli Stati Uniti non credono alla Presenza Reale. È facile, e non c’è bisogno di cambiare una virgola della dottrina che, in teoria, rimane la stessa.
Lo abbiamo visto in Amoris laetitia, lo vediamo in Fiducia supplicans. Tutto pastorale, con accompagnamento, con discernimento. In teoria, il permesso di benedire le coppie irregolari richiede che la benedizione sia spontanea, non liturgica, breve. Abbiamo già visto casi in cui non è stato affatto così, e che hanno incontrato la tacita approvazione dei prelati. A tempo debito vedremo “matrimoni cattolici” che avranno tutti gli elementi che di solito associamo al matrimonio, ma che se qualcuno protesterà gli verrà ricordato che non è un matrimonio.
E ora arriva il momento delle “sacedortisas”, un’antica richiesta del settore più progressista della sinistra del Primo Mondo. La dottrina, anche il magistero recente, rende impossibile l’ordinazione sacerdotale delle donne, e opporsi frontalmente non solo sarebbe un chiaro “casus belli” per lo scisma, ma un’occasione per il risveglio di molti, cosa che non si addice al cuoco che vuole cucinare la rana viva.
Quindi, se dovessi scommettere, scommetterei che questa sarà la “soluzione”, la risposta al settore che chiede la creazione di sacerdotesse: un diaconato non sacramentale. Tutto molto pastorale. Uffici e commissioni, posizioni di potere, nuove figure giuridiche, paramenti. Quando i tradizionalisti recalcitranti si lamenteranno, si ricorderà loro che non è cambiato nulla, che non si tratta di un sacerdozio sacramentale. A quel punto non resta che aspettare che gli inevitabili abusi, tacitamente accettati con la procedura di non punire o denunciare, facciano il loro lavoro sulla coscienza dei fedeli.
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